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Lucida analisi del banditismo barbaricino e più in generale dell'entroterra sardo sul finire degli anni '60. Con taglio da docu-fiction Carlo Lizzani illustra un quadro sociale dominato da una sorta di feudalesimo moderno che costringe i pastori ad esistenze misere malgrado gli immani sacrifici. I pochi benestanti alimentano così involontariamente il fenomeno criminale, con tanti poveracci che, disperati, dal furto di greggi passano al ben più pericoloso sequestro persona. Le gesta narrate sono ispirate a quelle di Graziano Mesina (qui chiamato Graziano Cassitta), interpretato con buona verve da Terence Hill nonostante tratti somatici poco adatti e un'inclinazione eccessiva a gigioneggiare. Certi passaggi sono trattati in maniera troppo veloce, tuttavia il mix tra finzione e cronaca dell' epoca funziona grazie alla sempre brillante predisposizione di Lizzani, abile a fondere denuncia e spettacolo. La posizione del regista appare super partes, non giustifica i banditi, cerca di capirne le motivazioni senza condannare a prescindere. Ovviamente sotterranea si avverte la reprimenda verso un movimento che pur non totalmente esecrabile negli intenti (sottrarre ai ricchi per dare ai poveri), si è macchiato negli anni di atti intollerabili che ne restituiscono appieno le contraddizioni.