Un ex marine viene coinvolto suo malgrado nel tentativo di stabilirsi su di un pianeta particolarmente ricco di specie vegetali ed animali e di sfruttarne le grandi risorse: quando però la razza indigena si ribellerà a questo colonialismo cosmico, l’uomo passerà dalla loro parte per guidarne la rivolta.
Sei un blogger e vuoi inserire un riferimento a questo film nel tuo blog? Ti basta fare un copia/incolla del codice che trovi nel campo Codice per inserire il box che vedi qui sotto ;-)
Beh presumo che si possa tranquillamente definire Avatar come lo Star Wars del XXI Secolo, e Cameron il più credibile erede di George Lucas. Eppure... in genere il 3-d non riscuote i miei consensi, mi ricorda Tommy degli Who (o Ken Russell se preferite), tutti spettatori lobotomizzati di un'evento tanto che da un momento all'altro vorrei gridare/cantare "we're not gonna take it". In realtà il film di Cameron sarebbe comunque un ottimo prodotto indipendentemente dall'uso dei famigerati occhialini (meraviglioso in alcune sequenze, come le immagini gravitazionali nella navicella), per varie ragioni. Non solo per i dialoghi non convenzionali, o per l'astuta commistione di generi, ma anche per la metafora che suggerisce. Il tema dell'inconciliabilità degli uomini c'era già in Titanic, qui sopraffatto da un tema sconfinato e "terrestre" come la prevaricazione del potere sulle minoranze. Guardo il film e mi tornano in mente le gesta degli indiani e cowboys, la difesa territoriale e razziale, la violenza sui nativi del revanscismo yankee. Mi sembra quasi di fare i conti con una realtà che purtroppo non esiste nella fantasia, ma è parte integrante di questo mondo, dove gli usi e costumi diversi - v. anche le persecuzioni agli indios - sembrano sollecitare le civiltà progredite a distruggere la libertà e la fierezza dei popoli "che non si adeguano". E così, tra citazioni di Lucas o di Mel Gibson, di Tarkovskji (l'omaggio a Solaris è più che evidente) e (involontaria?) il Brigadoon di Minnelli, quest'orgia di replicanti a contatto con una natura umanissima e palpitante finisce per sbaragliare ogni mia previsione. Una domanda del film mi torna ricorrente nella memoria "cosa si prova a tradire la propria gente?". Già, cosa si prova a interagire contro se stessi usando finalmente il buon senso che nessuna forma di potere può annientare in nessuna circostanza? Se dovessi trovare un difetto ad Avatar, certe ingenuità verso l'epilogo rischiano di confondere un'equilibrio che è l'Alchimia perfetta tra la spettacolarità, le ragioni di una lotta, le espressioni tangibili della nostra miseria umana ma anche della nostra forza. Ma sono solo debolezze del marketing, suvvia. Quello che resta è l'integrazione di una realtà, dove la fantasia (se così vogliamo chiamarla) rappresenta la fuga ideale - quasi come le utopie spaziali degli hippies post-68, da un mondo di supremazie terrene ehm terrestri