Recensione l'uomo che fuggi' dal futuro regia di George Lucas USA 1971
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Recensione l'uomo che fuggi' dal futuro (1971)

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locandina del film L'UOMO CHE FUGGI' DAL FUTURO

Immagine tratta dal film L'UOMO CHE FUGGI' DAL FUTURO

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Dopo l'esplosione di gran parte degli ordigni nucleari presenti sulla Terra, causata da radiazioni solari di straordinaria intensità, l'umanità superstite si rifugia in alcuni sotterranei della crosta terrestre per ripararsi dalle mortali radiazioni. Col tempo si formano agglomerati urbani militarizzati, di alto livello tecnologico.
Siamo nel XXV secolo, la società sotterranea è strettamente controllata dalle macchine, che programmano anche le nascite in provetta dei cittadini cercandone la perfezione genetica.

Alla base della sublime e ricercata compiutezza dell'uomo nuovo ci sarebbe il bisogno di una società altra, caratterizzata dall'assenza nei suoi membri di ogni pensiero critico, un risultato collettivo che può solo scaturire dalla manipolazione scientifica della biochimica di alcune parti dell'organismo, in particolare di quella neuronica responsabile della produzione dei desideri più insistenti.
L'assunzione poi coatta di opportune droghe, per chi non risulta creato perfettamente, garantisce una sopravvivenza malinconica senza sentirsi del tutto esclusi, situando gli irregolari sul bordo incerto di una dignità tutta da reinventare.

L'amore e la sessualità sono, dalle autorità governative, abolite, perché ritenute passioni umane ambigue, destinate a piegarsi prima o poi nel male del tormento e della sofferenza, sfociando in quelle paure esistenziali che portano al bisogno di una religione delirante, di fede incerta e strumentale. E' ammesso solo un erotismo fugace consumato con appositi ologrammi estetizzati in funzione del richiamo sensuale.
Per la nuova filosofia del potere, il desiderio che sottende certe passioni, anche se soddisfatto, non può che ripresentarsi, perpetuarsi, rinascendo indefinitamente, disturbando l'intelligenza logica che ha bisogno al contrario di unità psichica costante nel tempo.

La passione liberalizzata andrebbe indubbiamente a discapito della razionalità sociale programmata, che tende invece a fini superiori e creerebbe conflitti legati all'egoismo, alla gelosia, all'invidia tra i cittadini, mettendo in crisi l'interesse in comune. Chi, imperfetto, trasgredisce a tutto ciò, come THX 1138 (Robert Duvall) e la sua donna LUH 341 (McOmie) che rimane incinta, viene eliminato o, se ritenuto ancora integro da una apposita commissione umana, è curato facendogli credere di essere assistito per il suo bene individuale, in realtà indissolubilmente legato a quello sociale.
Grazie all'accettazione della sessualità, dell'amore e al rifiuto della droga che assopisce i sensi imposta dal potere agli imperfetti, la coppia trasgressiva THX 1138 e LUH 341 sviluppa senso critico, accresce il pensiero poetico e anela a un certo punto alla libertà.

THX 1138 e LUH 341 riusciranno a sfuggire dalle fitte e opprimenti maglie della sicurezza robotizzata giungendo in superficie in un mondo nuovo, illuminato dal sole e forse rivivibile?

Primo film di Lucas ("American Graffiti" 1973, "Star Wars" 1999-2002-2005) uscito negli USA nel 1971, in Italia nel 1976, costruito con pochi mezzi su di un cortometraggio presentato come lavoro-studio di regia all'Università di California, commissionato dalla Warner-Zoetrope di F.F. Coppola.

Nonostante il budget povero, il film risulta di ottima qualità drammaturgica, con una sceneggiatura di eccellente spessore filosofico-letterario messa in scena da Lucas in modo geniale, superlativo, con un sorprendente linguaggio visivo, guidato da una mano ancora un po' insicura ma che azzarda, rischia, centrando alla fine l'obiettivo, puntando sulle sfocature, le inquadrature a grandi angoli degli interni in lunghi spazi vuoti, i primi piani dei volti con sguardi molto espressivi, ben elaborati nelle pieghe modulate del viso, funzionali alla tonalità da dare, riferita al cupo contesto.

Pregevoli anche i particolari e i dettagli in movimento legati alla robotizzazione medica e poliziesca, che entrano in relazione nelle scene agendo sul corpo umano nei suoi punti più sensibili, quali la bocca, gli occhi, la gola; il tutto giocato soprattutto sugli effetti fotografici prodotti con la macchina da presa stessa, che costruiti all'esterno vengono ripresi poi in un secondo tempo dalla telecamera.

Il film ricorda vagamente "Orwell 1984" di Michael Radford, anche se la drammatizzazione espressa da Lucas e dal protagonista Duvall è nettamente superiore.

La pellicola è stata promossa dai maggiori critici a grandi voti, nonostante ciò fu severamente bocciata dal pubblico nelle sale, che forse ha capito meglio di quanto la critica possa immaginare di che cosa il film avrebbe parlato, rifiutandolo.

Il pubblico presumibilmente non ha voluto rispecchiarsi in realtà metaforizzate, improbabili, seppur possibili, giocate tutte sul piano della necessità della repressione sessuale per raggiungere mete superiori e sul pericolo reale dell'olocausto atomico; elementi tematici segnati dal pessimismo, da una sfiducia sull'operare umano, e alla cui base giganteggia forse un concetto filosofico di uomo, negativo, un essere che appare sfiduciato, segnato dalla malinconia e perennemente cupo, triste, perché incapace di soddisfare senza danni sociali e istituzionali i suoi istinti più potenti.
Un film quindi che rimane all'interno dei problemi individuali e sociali da sempre non risolti, ma noti, proiettando nel futuro alcuni paradossi risolutivi. Questo film si pone agli antipodi, sia come codici visivi che nei contenuti, rispetto a ogni spettacolo fantascientifico conosciuto, cinematograficamente storicizzato.

Forse il pubblico ha disertato le sale perché temeva di essere sorpreso, lungo lo scorrere suggestivo della narrazione, da qualche verità scomoda capace di scuoterlo, qualcosa di reale che lo riguardava da vicino e su cui sarebbe stato costretto probabilmente a prendere posizione, anche se solo per qualche ora.
Come non percepire infatti in questo film le più tradizionali insufficienze presenti nel sociale comune, popolare, radicate nel civile da un tempo incalcolabile; evidenti ad esempio nel comportamento abitudinario prestato nel quotidiano dai componenti della società sotterranea, forzatamente resa omogenea. Si tratta infatti di un comportamento anche vile segnato da un'ipocrisia malcelata, che da sempre dà una contorta sicurezza nelle situazioni più tese.

Come non cogliere anche in quel sociale l'assenza di uno spirito critico capace di andare al di là della battuta superficiale o lo slogan propagandistico rispetto ai problemi specifici che si presentano. E per finire, come non interpretare il bisogno religioso di alcuni cittadini del sotterraneo nella direzione di una comoda risposta psichica alle paure, di cui non si vuole conoscere le reali radici esistenziali per timore di scoprire dell'altro, probabilmente straniante, relegato nell'inconscio, capace di gettare nello sconcerto, con il vuoto di umano e il non senso della vita, ogni mente ingenua.

Film intellettuale quindi di grande spessore umanista, pienamente riuscito anche dal punto di vista della scorrevolezza e della coerenza del messaggio etico, numerose scene sono di pregnante valore simbolico e culturale.
Le tematiche proposte dal film sono ben sceneggiate, intense, dense di significato, esagerate quanto basta per caricare di tensione illusoria la fotografia; esaminandole a fondo acquistano valore più da un punto di vista visivo che verbale; la narrazione è sciolta, comunica realtà emotive acute, a volte familiarizzate in funzione di un effetto orrido ben contrastato.

Le tematiche sembrano approssimarsi senza alcun pudore alla coscienza di ciascuno, proprio perché racchiuse nelle esperienze più comuni della storia sociale anche più recente.
Una storia filmica quella di Lucas che si avvale nella sua costruzione di un falso futuro, non necessario, letterario, usato dal regista solo come mezzo espressivo, dispositivo narrativo efficace che consente una maggiore articolazione dei concetti sociali in gioco.
In realtà le problematiche trattate dal film sono facilmente denudabili, seppur intese ovviamente lungo un discorso di traduzione delle metafore espresse dal film.

Sono questioni sociali gravi, prosaiche, in un certo senso già avvertite, a volte sorgenti da un senso storico ciclico, altre volte da un senso, a tratti, evoluzionistico, ma in forme sempre diverse, dove la questione della libertà primeggia, ma solo dopo che se ne è persa ogni traccia, quasi a significare l'incertezza esistenziale dell'uomo combattuto tra la vile rinuncia al desiderio che più lo caratterizza nell'inconscio e l'affermazione coraggiosa, spericolata, egoistica di ciò che gli è più congeniale.

L'una crea la nevrosi, l'altra l'ansia di vivere patologica. Il merito di Lucas con questo film è di averci ricordato quello che siamo nel più profondo, di aver sottolineato la complessità che ci possiede.

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 19/05/2011 14.51.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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