Recensione lola montes regia di Max Ophüls Francia, Germania 1955
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Recensione lola montes (1955)

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locandina del film LOLA MONTES

Immagine tratta dal film LOLA MONTES

Immagine tratta dal film LOLA MONTES

Immagine tratta dal film LOLA MONTES

Immagine tratta dal film LOLA MONTES
 

Max Ophuls è stato per diverse ragioni un autore fondamentale: egli ha usato la rappresentazione teatrale e cinematografica per raccontare il palcoscenico della vita, dell'amore, del dramma e della morte. In un certo senso, condizionato sia dal feuilleton che dal decadentismo europeo, ha saputo interagire sui personaggi, approfondendo il loro ruolo nella storia: si può dire che la rappresentazione sortiva un effetto speculare ai protagonisti dei suoi film e alle rispettive vicende.
La carriera di Ophuls è stata più volte interrotta e ripresa da eventi personali e sociali (la fuga dal nazismo, la seconda guerra mondiale) che lo hanno costretto all'esilio in Austria e il Francia (dove ha ottenuto la cittadinanza), e, successivamente negli Stati Uniti - con una brevissima parentesi italiana negli anni 30" ("La signora di tutti"), e infine con il ritorno in Francia negli ultimi anni della sua carriera, fino alla morte avvenuta nel 1957.

La rappresentazione scenica, specialmente nell'ultimo arco di vita e carriera, è fastosa e volutamente barocca, tecnicamente minuziosa, e soprattutto è ancor oggi uno straordinario esempio dell'uso della macchina da presa.
Ophuls non si ricorda oggi solo per le raffinate riduzioni cinematografiche di classici letterari (Maupassant, Schnitzler, Goethe), ma anche per una particolare tecnica ispirata probabilmente alle ardite sperimentazioni del cinema muto dei primi del XX secolo: la camera che si muoveva circolarmente attorno a un soggetto statico. Per questa ragione, egli fu un degno prosecutore dell'arte di Melies, e ispirò a sua volta diversi autori contemporanei.

ATTO I - "ANDRA' TUTTO BENE" (cfr. L.M.)

Nel 1955, Ophuls dirige il suo ultimo film, "Lola Montes", liberamente tratto da una novella di Cecil Saint Laurent, e ispirato alla vita e alla carriera di una "scandalosa" cortigiana (contessa Maria Dolores De Lansfeld) e ballerina spagnola del XIX Sec. che sconvolse l'opinione pubblica europea per la sua esistenza dissoluta, finendo per rappresentare se stessa in un circo americano, dove "gli spettatori possono baciarle la mano per un dollaro".
Il film lasciò sconcertati anche gli ammiratori del regista, poco propensi ai virtuosismi scenici di un'opera che rappresenta probabilmente la summa di tutta la sua lunga carriera.
Esso rivela, infatti, la particolarità di Ophuls di essere al tempo stesso anacronistico (nella rappresentazione di un mondo che non esiste più) e moderno: non a caso l'autore aveva avuto modo di sperimentare gli effetti controversi degli spettatori e soprattutto dei censori, indignati per la scabrosa (?) rievocazione Schnitzleriana di "La ronde" (1950), segno tangibile che il mondo non era ancora pronto a manifestare apertamente la sua modernità.

"Lola Montes" fu un fiasco di critica e pubblico, e dovette subire dei tagli della censura che rischiarono di compromettere l'esito finale. Le eventuali scene compromesse e censurate sono probabilmente andate del tutto perdute e mai più recuperate.
La particolarità del film non sta soltanto nella sua straordinaria tecnica, ma nell'elaborazione di uno script a uso dell'autore, che riesce così a raccontare l'identità della protagonista attraverso quello che Truffaut chiamava "un mosaico o un puzzle atto a condensare frammenti poetici, e non tanto a condensare in 100' l'essenza di una vita".
Un personaggio come Lola Montes dovrebbe trovare ancor oggi - esattamente come nel laido impresario del circo Peter Ustinov tanto desideroso di scritturarla - un forte interesse da parte dei cinefili, ella rappresentò fino alla fine un'esistenza degna di essere raccontata, e soprattutto "filmata" al cinema.
Non a caso di recente (2000) la TCP (Tanti Cosi Progetti), compagnia teatrale che opera attraverso P.I.E.R.C.E. (Produzioni Indipendenti Emilia Romagna Cantiere D'Europa) ne ha realizzato, a Bologna, una riduzione teatrale, "Le ceneri di Lola Montes" (...).
L'insuccesso del film comunque costrinse Ophuls a tornare proprio nel mondo del teatro che aveva abbandonato da anni, e dove trovò anche la sua morte.
A distanza di anni, il film è stato recuperato, rivalutato, e oggi è ritenuto da alcuni critici un vero capolavoro della storia del cinema.

Fin dall'inizio, lo spettatore intuisce come si tratti di una storia già destinata all'epilogo, e che il passato verrà raccontato più tardi, alla maniera di altri capolavori del regista, come "Lettere da una sconosciuta" o "Il piacere".
L'ambientazione è quella di un circo, dove l'impresario (Ustinov) prepara il pubblico pagante al numero più spettacolare e atteso, quello che costituisce il perno della serata, ovvero l'esibizione di Lola.
Le luci si accendono e si riflettono sul volto di Martine Carol, presentata come "la regina dell'amore la rivoluzione fatta donna, il trionfo e la decadenza".
Abbassa gli occhi e tenta di dare risposte alle impertinenti e volgari domande del pubblico: "dove sono i tuoi figli?" oppure "tua madre era come te?" o ancora "ti piaceva più amore o denaro?" - alle quali l'impresario aggiunge qualcosa di suo ("Lola Montes non ha figli").
All'ultima domanda "lei ricorda il suo passato, Contessa?" la macchina da presa inquadra il volto della donna, e Ophuls procede al rutilante movimento di macchina mentre Lola Montes torna indietro con la memoria: la storia ha finalmente un vero inizio.

ATTO II - "I SOGNI SONO SEGRETI: NON SI POSSONO DIVIDERE CON ALTRI, E TALVOLTA SONO MOLTO IMBARAZZANTI"

La scelta di Martine Carol può sembrare irriverente, o casuale: non è mai stata una grandissima attrice, e forse anche in questa sua difficile prova non riesce sempre ad essere credibile, probabilmente esposta a un'eccessiva e indisponente empatia nei confronti del personaggio che è costretta a recitare.
Per quanto il suo carisma sia limitato, nei momenti migliori ostenta una grazia e un atteggiamento di moderata superbia che ricorda la Vivien Leigh degli anni 40".
Ophuls continua, per tutto il film, a sovvertire realtà e fantasia, avvenimenti della vita reale alla rappresentazione del circo, lì dove si muovono decine di comparse (figure di cera comprese), atte a interpretare le varie età della protagonista, i suoi flirt scandalosi e prestigiosi, amici, parenti, tutto e sempre per la lasciva curiosità del pubblico pagante.
Vita e (imminente?) morte si intersecano in una gamma emotiva sconvolgente, nelle sfumature di Lola Montes, eroina che sembra realmente un incrocio tra Lina Cavalieri e la Violetta Valery de "La Traviata".
Ma, in un certo senso, Ophuls non ama celare l'ambiguità dei suoi personaggi, che sono forse una proiezione di se stesso e della sua attrazione/repulsione verso l'incantesimo dell'amoralità.

A seguire il primo puzzle o mosaico (per continuare a dirla alla Truffaut) seguiamo Lola mentre vive la fine di una relazione col suo amante, il musicista Liszt che prima di lasciarla le scrive un'inutile quanto intensa lettera ("la mia musica ti dirà: grazie per la tua menzogna, e grazie per lasciarmi credere che sono io che me ne vado, e non tu che parti").
Oltre a Liszt (appunto) Lola colleziona una serie incredibile di flirt, ma è attraverso l'oscura libertà che domina le sue gesta e il suo sguardo ("la vita è movimento") che troverà via via la sua predestinazione al fallimento affettivo e sociale.

ATTO III - INFANZIA E ADOLESCENZA

Il circo dove Lola si esibisce illustra in un secondo tempo le fasi della sua infanzia, raccontando di come - dopo la morte del padre colonnello - sia stata quasi costretta a sposare un vegliardo amico del medesimo, e di come abbia minacciato di fuggire, riuscendo a unirsi in matrimonio con un giovane ufficiale che manifestò ben presto tutta la sua violenza, ubriacandosi e tradendola di continuo.

Questa fase del film è interessante perché riesce ad evocare certe analogie con la vita successiva della protagonista: l'importanza dell'oppressione materna, atta principalmente a maritare la figlia con un vecchio barone ricco, in una situazione economica non esaltante per la famiglia, e soprattutto il modo ora doloroso ora fatalista della stessa di adattarsi a qualsiasi circostanza (piange lacrime vere nella nave stipata tra tante persone in una cabina promiscua, ma è disposta ad accettare una modesta camera in affitto in una infima pensione bavarese).

Ophuls è fedele alle cronache del personaggio, ne rivela le strane abitudini (la prima donna europea a fumare i sigari?), ne racconta l'escalation da cui essa si dichiara sopraffatta dall' indipendenza (lascia il violento tenente James) e al tempo stesso la cerca ripetutamente, trovando in ogni nuova destinazione un segno fatale della sua indiscussa seduzione.
Madrid, Roma, Varsavia, Ragusa, la Costa Azzurra, Parigi sono le tappe inter-medie dove la donna debutta in vari teatri passando in rassegna una serie di relazioni e di amori più o meno illustri, contesa da generali (Paskijevic), lottato-ri, diplomatici, direttori d'orchestra (Claudio Perrotto, segretamente sposato), e nuovamente musicisti (Chopin) e ufficiali del Re di Baviera Luigi I (Fredinand Von Kleivert).
L'ultima tappa del viaggio, drammaticamente singolare, è quella che la porta in Baviera per un provino.

ATTO IV - "MOSTREREMO QUELLO CHE TUTTE LE DONNE SOGNANO DI FARE MA CHE NON HANNO IL CORAGGIO DI FARE"

Poco prima del viaggio in Baviera, Lola Montes viene avvicinata per la prima volta dall'impresario di un circo, un uomo inquietante misogino e riprovevole che pensa soprattutto al profitto, le propone un contratto da firmare, ma lei in un primo tempo declina l'offerta: mentre se ne va egli la saluta in questo modo "posso chiamarvi Lola? In fin dei conti siamo della stessa pasta"

ATTO V - "TUTTO CIO' CHE E' PROIBITO MI ESASPERA"

Ma è davvero così evidente che l'unica ragione che muove la Contessa nelle sue azioni siano i soldi?
E' facile obiettare di sì, ma la realtà smentisce, per quanto al regista non interessi particolarmente rivalutare la figura della sua eroina, né di descriverla in un'ottica diversa: egli si limita a rievocarne gli avvenimenti, e tra questi non può non stupire l'esaltante e irriverente modo con cui la protagonista beffeggia il direttore d'orchestra Perrotto, reo di averle nascosto il suo matrimonio, o la fortissima empatia psicologica nei confronti del Re Luigi I di Baviera, che a sua volta lascia la moglie per vivere con lei un rapporto scandaloso e assai inviso ai suoi sudditi.
Ecco, prevalgono, in queste fasi, le contraddizioni della protagonista, avversa al potere e alle regole classiste (ridicolizza l'ufficiale Von Kleivert davanti a un picchetto cavalcando davanti al Re in persona) ma al tempo stesso reticente davanti all'amoralità dei personaggi che seduce e si fanno a loro volta sedurre: per quanto assurdo possa sembrare, l'indipendenza di Lola Montes appare quasi un segno impellente e inevitabile di resa davanti all'impossibilità di tro-vare vero amore.
Non a caso, quando infine si trova corteggiata e (forse) amata per la prima volta nella sua vita, da uno studente ventenne (interpretato dal grande Oskar Werner) essa si ritrae, in parte rassegnata dal proprio conflitto morale, e dall'impossibi-lità di credere ancora in una dimensione affettiva sincera.

ATTO VI - "VOI INCARNATE L'AMORE, LA LIBERTA', TUTTO QUELLO CHE ESSI DETESTANO..."

La carriera artistica di Lola Montes è costellata di successi e fallimenti: non ha un grande talento ma riesce ugualmente a sfruttare le occasioni e a "vendersi" per ottenere quello che desidera. In un certo senso il personaggio, antitetico e così diffuso nel nostro mondo contemporaneo, dimostra una modernità assoluta rispetto all'epoca della sua esistenza.
Non a caso in Baviera riesce a rivolgere un fallimento (un provino deludente) a suo favore, servendosi dell'aiuto del Re in persona, che si innamora di lei, e per questa ragione ottiene la sua riconoscenza. La figura di Luigi I andrebbe valutata alla luce degli avvenimenti politici e sociali della Germania del XIX Sec: da una parte la Prussia, governata da Bismarck, dall'altra la Baviera. Agli occhi dei Prussiani, la regione appariva come un regno dissoluto e scandaloso, incontestabilmente "vizioso" rispetto al rigore e al prestigio internazionale di Bismarck e del suo Primo Reich.
La storia dei Re della Baviera non è costituita dal solo "scandalo" di Luigi I, che lascia la moglie per vivere con "una straniera nota per la sua esistenza burra-scosa", ma anche dalle vicende del suo successore e di altri ancora (su tutti cito Ludwig, rievocato da un noto film di Visconti).

L'anziano Re, ultrasessantenne e sordo, trova in Lola una fugace e liberatoria fuga dalle responsabilità sociali, abdicando non tanto o solo al suo ruolo, ma a quanto simboleggia.
Dal canto suo, Lola diventa incomprensibilmente slavata e volgare nei confronti di ciò che rappresenta, ma ne coglie la cavalleria e l'atteggiamento solitario, forse persino la sua remissiva tristezza. La loro storia si conclude in modo drammatico, con una sommossa popolare al palazzo, e l'imminente fuga di Lola dalla Baviera ("ha salvato un matrimonio e se stessa" dice la gente).
E tutto torna, inesorabilmente, nel circo dove Lola ha finalmente deciso di trascorrere il resto della sua vita, "pagata" esclusivamente per rispondere delle sue colpe, nell'amara consapevolezza della fragilità dell'esistenza stessa.

La passionale (o semplicemente commossa?) rievocazione dell'ultima tappa delle avventure della protagonista in Baviera, che rischia di provocare una rivo-luzione popolare di enormi proporzioni, è una sorta di episodio a sé stante, è quasi un'altro film.
Ophuls ama enfatizzare il rapporto con le rigide regole che essa sovverte, ma è particolarmente ben disposto a rivelare quanto l'enorme portata della sua ultima "impresa" sia atta ad esprimere la fragilità nazionalista e revanscista di una nazione monoliticamente chiusa nel suo "Regno".

"Lola Montes" è, dunque, la rappresentazione poetica ma anche lucida e fredda di uno stile di vita che oggi verrebbe tacciato come un esempio di anarchismo incompiuto.

Il tema citazionista della rievocazione anteriore rispetto a quella successiva ha avuto proseliti ovunque nel cinema: noi spettatori inseguiamo Martine Carol nel pudore, nella reticenza e pure nell'irriverenza di acclamare comunque la sua identità, ad ogni costo.
Nel finale, sappiamo - o ne siamo consapevoli oppure crediamo di valutarne le ragioni - che le scelte della donna l'hanno portata a cercare invano una sicurezza anche economica, però lasciandola affettivamente sola , quasi impassibile davanti a un destino che clamoroso ma recidivo, e soprattutto inesorabilmente avviato (appunto) verso la decadenza.
La vita stessa diventa eternità, ma è inevitabile pensare che la morte sia la deriva di tutto ciò che è stato vissuto nell'"abbondanza".

Ridondante e quasi kitsch nella rievocazione Circense, imponente ai limiti del grottesco nell' immaginario Reale (quasi da vignetta umoristica la memorabile sequenza "ago e filo" con i servi e custodi del palazzo che si chiamano a vicenda), abbacinante nel suo trionfale Cinemascope, "Lola Montes" resta un'operazione magniloquente ma geniale che fa dell'esistenza un vorticoso giro di giostra, o un sontuoso walzer che ci porta davanti a una gabbia di ferro.

Dove la finzione è complementare a quella strana Arte del XX Sec. chiamata Cinema.
Dove la vita finisce e ne reca l'immortale impronta del suo Mito.

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Recensione a cura di kowalsky - aggiornata al 30/10/2006

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