Recensione jurassic park regia di Steven Spielberg USA 1993
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Recensione jurassic park (1993)

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locandina del film JURASSIC PARK

Immagine tratta dal film JURASSIC PARK

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Immagine tratta dal film JURASSIC PARK

Immagine tratta dal film JURASSIC PARK
 

"Jurassic Park" è entrato prepotentemente nella storia del cinema come il ruggito del suo Tirannosaurus negli incubi degli spettatori. Coniugando fantascienza (il genere che Spielberg predilige), horror e azione la dream factory del regista americano è riuscita a sfornare l'ennesimo film visionario, che anticipa a tinte fosche un futuro dominato dall'ingegneria genetica.
La grande novità è tuttavia estetica e non tematica: risiede nella capacità di aver unito, non per la prima volta nella storia del grande schermo ma con un realismo senza precedenti, dinosauri digitali (e non) e attori in carne ed ossa.

"Un'idea non priva di meriti"

Tutto ebbe inizio col circo delle pulci di John Hammond; stanco di illudere il pubblico, l'anziano magnate decise un giorno di dar vita alle illusioni, costruendo un parco le cui attrazioni fossero veri e propri dinosauri. Grazie alle possibilità offerte dall'ingegneria genetica e a cospicue somme di denaro, il suo sogno si è concretizzato nel Jurassic Park.
Slegato da qualsiasi interesse economico, "qui non si bada a spese" è un'affermazione che esce spesso dalla sua bocca e la sua idiosincrasia verso gli avvocati né è testimonianza, John è il bambino viziato (si adira non appena si rende conto di essere stato soverchiato dalla natura per via di un ciclone) che gioca a fare Dio, convinto di poter realizzare un mondo sulla falsariga di quello "vero", dove i sogni di qualsiasi altro fanciullo prendono corpo. Gioca con un giocattolo costoso che ha acquistato personalmente ignorandone il processo di costruzione (la sua incapacità di leggere la cartina è emblematica) e i pericoli che ne potrebbero derivare.

E' il padre risolutore del "mistero" della creazione, assiste alla nascita e teme per la vita delle sue "creazioni", e come qualsiasi altro "creatore", scatena la sua collera su quegli esseri umani che non compiono la sua volontà ( infatti è l'unico personaggio a non rischiare mai la vita). Il tradimento di Nedry, le minacce dell'avvocato, la disubbidienza di Arnold e il tentato "omicidio" del guardacaccia si risolvono tutti in una "vendetta" di John compiuta dai dinosauri, suoi figli e servi.
Malcolm se la cava solo con una gamba rotta, pagando così l'antipatia suscitata in John. Ma il giocattolo si rompe perché, quello della creazione, è un potere che il progresso non può donare all'uomo che è inevitabilmente costretto a portare tutti fuori dal suo mondo artificialmente creato.
Come Adamo, John deve fuggire a malincuore dall'Eden per aver tentato di diventare come Dio, emulando il suo processo creativo con la clonazione. Non v'è cattiveria nella azioni di John: il candore delle vesti, la debolezza fisica, l'espressione bonaria ne esaltano la quasi ieratica innocenza e i buoni propositi; il suo bastone, che gli permette di camminare (vivere) ha all'estremità con un ambra contenente una zanzara: egli si regge concretamente sul suo sogno. Ha costruito un enorme parco come regalo per i suoi nipotini, da nonno affettuoso quale è.

Oltre ad essere, quindi, il vero e proprio deus ex machina della vicenda, Spielberg "approfitta" del personaggio per attuare la sua riflessione sul ruolo del director. John rappresenta il regista/burattinaio che perde il controllo dei propri attori, i quali, nonostante il padrone sia lui, continuano a prendere l'iniziativa. Entra letteralmente nello schermo e durante il giro turistico osserva le sue marionette attraverso il monitor.
Ma quest'ultime si ribellano non accettando la subalternità e "forzano" i cardini che li rilegano a posizioni di semplici spettatori. La conseguenza è che il sistema collassa ed il regista è costretto ad abbandonare il set con gli attori rimasti (sopravvissuti ). Una chiara rivendicazione del ruolo del director, ma allo stesso tempo anche una sua limitazione: John è incapace di ricreare e controllare una nuova realtà (dar vita alle illusioni) e deve ritornare al circo delle pulci. Il cinema è fatto di illusioni, non di realtà.
Non a caso l'attore che interpreta il ruolo di Hammond, un eccellente Richard Attenborough, è anche il regista premio oscar per "Gandhi".

"La vita vince sempre"

Introdotti di punto in bianco in un nuovo ecosistema, i primi "turisti" del Jurassic Park devono sottostare alle leggi del parco. Innanzi tutto, il parco è stato costruito per i bambini, di conseguenza, solo chi ha un buon rapporto con quest'ultimi può sopravvivere. John, come abbiamo già visto, è un nonno affettuoso, la paleontologa vorrebbe un bambino e Malcolm confessa al prof. Grant di adorare i suoi tre figli. Riguardo al professore, il suo rapporto con i bambini è più complesso.
La sua iniziale insofferenza nei confronti di Tim e Lexter si trasforma, dopo aver visto la Triceratops che gli ricorda la sua infanzia, in un florido rapporto che culmina con lo scherzo davanti al recinto (disattivato) dell'alta tensione. Il professore regredisce da una condizione iniziale che lo avrebbe indubbiamente condannato. Un'altra legge prevede che i dinosauri vengano rispettati, pena, ancora una volta la morte: Gennaro rappresenta la loro mercificazione, Nedry lo sfruttamento, Arnold il controllo e il guardiacaccia, che desidera una preda valorosa, attenta direttamente alla loro vita. In particolare si viene a creare il binomio natura/tecnologia con la vittoria della prima sulla seconda ( annunciata già nel prologo).

E' sufficiente un semplice blackout e l'avanzato uomo del ventesimo secolo si ritrova alla mercè di una natura ostile che misconosce. L'informatica non è per nulla di aiuto ( i due "informatici" difatti muoiono entrambi) e la stessa Lexter non riesce a fungere da anello di congiunzione fra il mondo dei bambini (innocenti) e quello degli ingegneri: il sistema che ripristina non riesce a tenerli lontani dai dinosauri e serve solo a chiamare l'elicottero dalla terraferma con un "semplice" telefono. Inoltre la ragazzina "paga" la sua passione per l'informatica con l'impossibilità di toccare i rettili, al contrario del professor Grant e di Tim, che odiando la tecnologia possono farlo.
La condanna al progresso tecnologico non si estende ad una negativizzazione in toto delle scienze. La conoscenza scientifica, e in particolar modo paleontologica, risulterebbe fondamentale per la salvezza dei personaggi (Bolton, Gennaro e Nedry vengono uccisi dai dinosauri secondo strategie di caccia esplicitate durante il film) se solo questi ultimi le conoscessero. Non è la sete di conoscenza dell'uomo a causare il disastro ma la sua presunzione nel credere di poter controllare un sistema (la natura) così complesso.
Alla fine l'uomo, troppo "meccanizzato" e incapace di adattarsi, è costretto a fuggire da un ambiente che non lo desidera, rivendicato come proprietà dai dinosauri stessi: "Quando i dinosauri dominavano la terra" è la scritta sullo striscione che si posa sul T-rex che ha appena distrutto il suo stesso scheletro:le attrazioni rivendicano la propria appartenenza al mondo dei vivi. Questo è quanto accade al Jurassic Park. Al professor Grant, che ha raggiunto l'autocoscienza, non rimane altro che osservare gli uccelli dal finestrino dell'elicottero, i "veri" dinosauri odierni, secondo la sua stessa teoria evolutiva.

"Benvenuti al Jurassic Park"

Il logo del parco con la scritta "Jurassic Park" contrassegna numerosi accessori all'interno della struttura stessa (appare già nella seconda inquadratura del film) e la regia indugia spesso su di esso. Viene persino mostrato tutto il merchandising legato al nome e alle attrazioni del parco. "Jurassic Park" (parco) è una grande attrazione per i visitatori (spettatori), in particolare i bambini; "Jurassic Park" (film) è quasi la stessa cosa. "Jurassic Park è un film che racconta di un altro film: da una parte John Hammond, che ha preparato a tavolino per i suoi spettatori un "giro" in mezzo alle attrazioni da lui create, dall'altra Steven Spielberg che racconta le conseguenze del fallimento di tale "giro".
In entrambi i casi, Jurassic Park è il lavoro di due registi: uno dietro e l'altro davanti la macchina da presa (ma davanti ai monitor). Il film di John Hammond è però troppo pretenzioso:il suo esperimento mira ad abbattere l'unica barriera tra spettatore e spettacolo, tra pubblico e attrazione:lo schermo. L'immagine non è più veicolata da una superficie piana ma si presenta "pura" agli occhi dei primi spettatori. Nel vedere il Brachiosaurus, il professor Grant, aduso ad un'immagine proiettata, tende il braccio cercando uno schermo che però non c'è.
Questa libera convivenza tra spettatore e attrazione è la base del sistema Hammond, ed anche il suo più grande fallimento. Gli spettatori (visitatori) non perdono tempo ad abituarsi ad un nuovo tipo di cinema. Come dimostra la sequenza all'interno della sala di proiezione nel centro visitatori, non solo essi non danno più alcuna credibilità a ciò che vedono sullo schermo ma rifiutano una condizione di passività forzando gli ostacoli che gli impediscono il movimento.

All'interno del Jurassic Park lo spettatore non vuole vedere un film che illustra il processo di clonazione ma pretende di assistere in prima persona a tale processo. Non più un riflesso della realtà ad alimentare lo spettatore, ma la realtà stessa quindi. I problemi subentrano non appena si da il via al tour nel parco. Il regista John Hammond ha pianificato tutto, munendo di recinti gli spazi riservati ai dinosauri carnivori.
Tali "barriere" sono però come degli schermi per i visitatori, con il risultato che non riusciranno a vedere neanche un animale se questi è in gabbia. Dopo il Brachiosaurus all'arrivo nel parco, il successivo animale che la regia mostra è infatti una Triceratops, malata e fuori da qualsiasi reticolato. Velociraptor, Dilophosaurus e Tirannosaurus non si mostrano perché lo spettatore è ormai incapace di riconoscere le attrazioni se queste sono limitate da un recinto (schermo). Sotto questo punto di vista, il traditore Nedry non fa altro che permettere agli spettatori (sia quelli in sala che nel parco) di osservare, anche se a carissimo prezzo, le principali attrazioni del Jurassic Park, svincolandole disattivando i sistemi di sicurezza.
Una volta liberati i carnivori avviene un'inversione dei ruoli. Gli spettatori, da soggetti si trasformano in oggetti della visione da parte dei dinosauri, con la fuga come unica soluzione. Il loro sguardo viene spesso fissato dalla macchina da presa intento appunto ad osservare le loro prede. Le stesse caratteristiche dei dinosauri (attrazioni) rimandano all'arte del cinematografo: il T-rex è attratto dalla luce e dal movimento (il cinema come gioco dinamico tra luci e ombre) e il Raptor non riconosce che quella di Lex è solo un' immagine riflessa (il cinema come riflesso della realtà). Anche gli spettatori (turisti) da parte loro denunciano le due principali caratteristiche del cinefilo: voyerismo e sadismo. Uomini e dinosauri non possono convivere così come gli spettatori hanno bisogno di uno schermo per poter godere delle attrazioni del cinema.

Il progetto di Hammond è fallito, non per colpa diretta: egli infatti aveva accuratamente dotato il parco di un avanzatissimo sistema di sicurezza, altrimenti non avrebbe fatto venire i suoi nipoti. Ma non aveva previsto la libertà rivendicata dai propri attori e soprattutto il desiderio dello spettatore a non prestare più attenzione all'immagine proiettata dopo aver avuto la possibilità di usufruire di una "pura" (limite che ispirerà poi il tentativo di sabotaggio di Nedry).
La loro esperienza li porterà a ricredersi: la tecnologia non può cambiare il cinema. Nella sequenza finale, il professor Grant torna ad apprezzare le immagine veicolate da uno schermo, rappresentato in questo caso dal finestrino dell'elicottero. L'ultima inquadratura riservata al simbolo del parco, presenta un logo infangato in cui a malapena si legge la scritta "Jurassic Park". La struttura chiude, ma la scritta lucida "Ingen" sulla fiancata dell'elicottero indica che l'ingegneria genetica sopravvive.

"Qui non si bada a spese"

Le radici del film si rintracciano nell'omonimo libro di Michael Crichton, che ha anche firmato la sceneggiatura (insieme con David Koepp). E' ovvia l'impossibilità di equiparare il libro al film data l'enorme differenza dei loro supporti, ma la mano di Spielberg è facilmente riconoscibile. Anche se il libro è già abbastanza "cinematografico", il regista americano sceglie di eliminare i personaggi secondari (ingegneri e operai del parco) aumentando così la sensazione di isolamento dei pochi rimasti sull'isola, e di "salvare" John Hammond e Ian Malcolm, vittime dei dinosauri nel libro ma sopravvissuti nel film (per i motivi riportati sopra). Di contro, l'affascinante teoria del caos che sta alla base del fallimento del parco viene solo accennata durante il film, ma gode di numeroso spazio all'interno del libro.
Dal punto di vista tematico, oltre a un classico "senso del sublime", il regista americano ricalca le proprie orme, sottolineando l'importanza degli affetti,la crisi della famiglia e la subordinazione dell'uomo a un essere a lui superiore, rappresentato in questo caso da una natura selvaggia. Quest'ultima è incarnata dai dinosauri, per mezzo dei quali Spielberg spaventa lo spettatore, anche ricorrendo a situazioni improbabili (T-rex che sputano o braccia recise che spuntano inspiegabilmente da dietro le porte ) al limite della banalità, supportato dagli effetti speciali dell'Industrial Light&Magic.
Ricorre alla tecnologia nel film, ma allo stesso tempo la condanna. Una contraddizione, forse, ma sicuramente ricca di suggestione e di certo consapevole. La maturità registica dimostrata dietro la macchina da presa è confermata dalla presenza di una profonda riflessione sul cinema e sul ruolo del director. Se quindi l'esperimento di John Hammond è fallito, quello di Steven Spielberg è pienamente riuscito. Mors tua vita mea...

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Recensione a cura di Gabriele Nasisi - aggiornata al 06/11/2006

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