inland empire regia di David Lynch USA, Polonia, Francia 2006
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inland empire (2006)

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locandina del film INLAND EMPIRE

Titolo Originale: INLAND EMPIRE

RegiaDavid Lynch

InterpretiJulia Ormond, Scott Coffey, Justin Theroux, Harry Dean Stanton, Jeremy Irons, Laura Dern, Mary Steenburgen, Nastassja Kinski, Michael Paré

Durata: h 2.52
NazionalitàUSA, Polonia, Francia 2006
Generedrammatico
Al cinema nel Febbraio 2007

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Trama del film Inland empire

A Inland Empire, zona residenziale ai margini di Los Angeles, una donna è in grave pericolo...

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Voti e commenti su Inland empire, 272 opinioni inserite

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Invia una mail all'autore del commento stenodeluxe75  @  16/02/2007 21:59:40
   9 / 10
INLAND EMPIRE,

“l’impero della mente”,e/o il nome di una zona di Los Angeles, anagrammato sempre in inglese e forzatamente tradotto, può significare “la restrizione al giudizio” o secondo un’altra accezione “il ricordo intrappolato” oppure “il pensiero limitato”.
Esempio filmico di video-arte, sperimentazione per e verso l’innovazione, studio universitario per tesi e ricerche.

INLAND EMPIRE è il territorio, l’universo generato dalla mente geniale e meditativa del regista DAVID LYNCH ed ha tutte le caratteristiche per evolvere la cinematografia secondo nuovi ed infiniti approcci.
E’ molto difficile spiegarlo a livello razionale.
E qualsiasi spiegazione non sarà mai completamente esaustiva, a partire da questa e d’altronde lo stesso D.L.(come anche per es. Kubrick) non ha mai voluto o potuto commentare nessuno dei suoi film, come nell’incapacità di descrivere un parto, l’arte generata, ammettendo eventualmente, ed in modo provocatorio, come l’autovalutazione priva di significato delle esistenze di molti individui, possa rispecchiarsi anche in un film che non deve o non può spiegare razionalmente tutto.

E’ risaputo che D.L. da più di trenta anni pratica meditazione e mantra, e da qui che probabilmente attinge a piene mani per la sceneggiatura dei suoi film, insieme ad una attività onirica unica nel suo genere.
Inoltre possiede una padronanza del mezzo cinematografico, per la prima volta consacrando l’uso del digitale, nello studio della sovrapposizione audio-visiva che induce in-determinati e in-consapevoli stati mentali e psicologici.
Se ne desume una capacità fuori dal comune di estrapolare la “sur-realtà”, di trascendere il legame spazio-temporale, piani temporali e narrativi che si intrecciano , di ricercare quelle chiavi “soggettive” che permettono appunto un continuum spazio-tempo, la sovrapposizione di identità nello stesso individuo, emozioni sdoppiate, perdita di consapevolezza, percezioni bivalenti, involuzione degli stati di coscienza, riferimenti bilocativi.
E la realtà degli eventi lynchiani sono stati di malessere catartici, disagi latenti, estraneamento, terrore , paura, mistero, crisi, sfiducia, sofferenza ovvero condizioni della natura umana negli stati di tensione
Rispetto al precedente “Mullholland Drive” si intende un percorso risolutivo dell’intreccio con molta più astrazione, per quanto all’epoca, pochi anni fa, potesse risultare già un limite quasi non più valicabile.
Ordinare i vari piani temporali e narrativi diventa attività intuitiva pura e D.L. forse si cimenta in una ricerca di una evoluzione progressiva dello stile narrativo, autocelebrando se stesso perennemente, dal principio alla fine, soprattutto, delle sequenze, marcando di fatto la creazione di un mondo surreale, solitamente con gli stessi attori, esterno all’individuo e contemporaneamente sviscera l’andamento, la direziona(bi)lità interiore ed intimistica dell’atto percettivo.
L’interpretazione diventa soggettiva, adattabile a qualsivoglia livello di profondità e comprensione, racchiude e svela il significato esoterico e spirituale dell’esistenza ad ogni chiave di lettura, di comportamento.

Ritengo che sia di fatto quanto di massimo possa essere richiesto a livello creativo al soggetto regista, in termini di trasferimento, espressione della sua percezione del mondo, del vissuto e delle esperienze riportare in forma soggettiva, a forma artistica.

Grandi silenzi “in-esteriori” contrapposti a ballate blues-vintage-retrò come a profanare il clima di concentrazione iniziale e quello acquisito, arrivato forse ad un passo dal comprendere “il Tutto”.
Sguardi, atteggiamenti tra e nei protagonisti, fra tutte, la protagonista che, guardando all’esterno vede se stessa e viceversa.
Dialoghi scarni, secchi ma profondi come schegge che infrangono il vetro, comparse metaforiche e spiazzanti, riferimenti per comprendere senza etica e morale, la gerarchia interiore dei valori, dei legami e dei vincoli, metabolizzata e non assimilata dalla protagonista.
È come se ogni atto testimoniasse l’entità morale della persona, ne manifestasse la natura profonda della propria identità, per cui, per esempio, la perdita di consapevolezza davanti al tradimento, l’infedeltà coniugale, uno dei temi centrali del film, trasmesso attraverso diversi livelli fenomenici, concreti, teatrali, surreali, provoca l’abbassamento di coscienza interiore in armonia universale, il deteriorarsi esistenziale in una sorta di reclusione infernale dantesca.
Il monito iniziale dell’inquietante e cassandrica vicina, posto come una favola che accadrà(?) e, come se l’oggi fosse il domani, il vincolo affettivo che deve essere rispettato, pena l’estromissione dal successo reale, la caduta dal paradiso per il frutto del peccato colto, le conseguenze di ogni azione, il rivelarsi delle apparenze in ciò che è e si è, l’evitare la sofferenza diabolica e continua se viene creato il danno, il male e la conseguenza, gli omicidi.
Una catarsi interiore pronta ad attenuarsi se un bagliore di luce, di coscienza solleva l’animo inquieto per riportarlo alla realtà, una divina commedia dantesca. per ritrovarsi davanti alle stelle, ovvero a comprendere il senso di appartenenza proprio e dei legami viscerali.

Stefano De Luca
Stenodeluxe75

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