Sei un blogger e vuoi inserire un riferimento a questo film nel tuo blog? Ti basta fare un copia/incolla del codice che trovi nel campo Codice per inserire il box che vedi qui sotto ;-)
Famiglia Cristiana scriverebbe: “Accettabile, con riserve”. Ma questo è il mio giudizio sul film.
Il caimano di Moretti è un contenitore di istanze girotondine consustanziate in una rappresentazione socio-politica dell’Italia odierna non priva di velleità e presunzioni. In poche parole, è “solo” il film del leader dei girotondi per il (suo) popolo della sinistra. Non amo molto Moretti, che ha contribuito notevolmente in questi 30 anni a rovinare il cinema italiano, anche attraverso i suoi epigoni, facendo del film un mezzo di espressione autoreferenziale e sempre meno narrativo, trascendentale. (Fenomeno, questo, riscontrabile in tanta letteratura giovanile – e giovanilistica – italiana). È prassi ormai raccontare se stessi e le proprie opinioni (sarà che la tv e i talk show televisivi ci hanno trasformato un po’ tutti in opinionisti…) sulla politica, sulla società, peggio ancora sul quotidiano, senza mai veramente imbastire una storia compiuta, una trama che trascenda, appunto, la dissertazione diretta degli argomenti in questione, per rappresentarli attraverso personaggi e vicende altre, simboliche, verosimili. In questo modo di fare non si può, poi, non riscontrare un certo autocompiacimento “autoriale”, che vuol essere/dare sempre il giudizio definitivo, l’ultima parola sui fatti.
Dino Risi, a proposito de La stanza del figlio, diceva, con la sua solita tagliente ironia: “Quando guardo un film di Moretti mi vien da dire: Moretti spostati, fammi vedere il film…”. Parole significative, le sue. Ecco, nemmeno questa volta Moretti si “sposta” e si fa da parte; anzi, si concede il lusso di un finale apocalittico nel quale l’attenzione si concentra tutta su di lui, appannando perfino l’immagine del personaggio reale che sta interpretando e che vorrebbe rendere mefistofelica e inquietante. Moretti, così facendo, mette in secondo piano lo stesso Berlusconi (del quale vorrebbe esaltarne la malefica voracità), sovrapponendosi a quest’ultimo col suo personaggio sentenzioso, quello dell’intellettuale girotondino che, a fronte delle sue battaglie pro magistratura, contro la tracotanza criminale berlusconiana, corona il sogno di girare un suo film sul Cavaliere, vera e propria ossessione esistenziale di Moretti. La giovane e volitiva Teresa, regista esordiente che tenta di realizzare un film su Berlusconi, è l’alter ego del regista, il quale non poteva sottrarsi dal rivelarsi prepotentemente nel finale, tutto suo: Moretti che interpreta Berlusconi è, in realtà, Moretti che interpreta se stesso contro Berlusconi. (In questa operazione non so dire se c’è il segno della genialità o semplice e banale presunzione). Ma non è il Moretti attore quello di cui parlo, bensì il Moretti personaggio “politico”. Di fatto, sotto questa luce, appare significativa la scelta di Jasmine Trinca, così giovane, dolce e innocente, come alter ego morettiano (scelta discutibile su uno stretto piano estetico-narrativo, essendo quello di Teresa un personaggio mai del tutto credibile, data la sua giovane età, se messa in relazione alla sua determinatezza e conoscenza della storia italiana degli ultimi 30 anni): quasi a volersi dare, Moretti, un’aura di purezza morale e ideologica. In ogni caso, Moretti si lascia andare, se così si può dire, a suggestioni estetiche e interpretative alla Welles, ma senza averne, ovviamente, la stessa capacità carismatica ed espressiva. Di suggestioni/citazioni cinematografiche, ne Il caimano, ce ne sono tante, non di meno quell’apparizione “felliniana” della caravella per le strade notturne di Roma e il set bizzarro sulla spiaggia laziale (ma anche, se vogliamo, gli studi cinematografici con le scenografie, ecc.).
Moretti sceglie, come espediente narrativo, una via indiretta, quasi metacinematografica, che maggiormente si confà alle sue esigenze istrioniche (un istrionismo, quello morettiano, che si sostituisce/sovrappone a un altro istrionismo, quello del nostro più o meno ex presidente del consiglio): un film di Nanni Moretti su Berlusconi può apparire scontato (e nei dialoghi vien fuori il timore di cadere nel già detto); allora il regista gioca la carta con la quale, non solo si tira fuori da questo rischio, ma può persino dispiegare al meglio se stesso e il proprio esibizionismo.
Nel cast si trovano molti registi italiani e anche uno polacco, Jerzy Stuhr (al quale Moretti mette in bocca parole che solo un italiano potrebbe dire in quei termini), quasi a voler simboleggiare una coralità del cinema italiano (in crisi produttiva – e qualitativa – anche a causa dei provvedimenti del governo uscente a discapito della cultura) contro Berlusconi. Moretti mette insieme varie generazioni di autori, dal Montaldo del cinema politico e impegnato degli anni ’70, ai Virzì, Placido, De Maria che inseguono oggi autorialità e impegno non sempre efficaci e all’altezza dei loro illustri connazionali predecessori. Ma Moretti è ben lontano dai film politici a cui, direttamente e non, vorrebbe ammiccare. La figura del produttore (Silvio Orlando) in crisi professionale e privata funziona più come espediente da commedia che come elemento cardine sul quale basare la costruzione della trama “politicizzata” del film. Ricorda, quella figura, i protagonisti – e la loro produzione “artistica” – del film “Il ritorno di Cagliostro”, di Ciprì e Maresco, gli ultimi autori di un cinema veramente politico, oggi, in Italia. Quella però è un’altra storia, con ben altri (e alti) esiti… In fondo, il personaggio di Orlando serve solo per arrivare al gran finale morettiano, una sorta di guida che ci porterà alla scoperta del divo diabolico Moretti/Berlusconi. E, d’altronde, la vicenda familiare del produttore, unita a quella sentimentale della giovane regista, lesbica con figlio cresciuto con la compagna, sembrerebbero piuttosto dei controspot elettorali progressisti sulla famiglia, roba da far inorridire Casini e l’UDC. Famiglia Cristiana, più opportunamente, scriverebbe: “Scabrosità”…