In un orfanotrofio del Kentucky negli anni ’50 una ragazza di nome Beth Harmon scopre di avere un talento incredibile per gli scacchi. Nel frattempo lotta con un problema di dipendenza.
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Finalmente. Finalmente una serie sugli scacchi? No. Finalmente una serie che si prende i suoi tempi, dove le inquadrature non hanno i secondi contati e i primi piani possono raccontare le emozioni. Ci volevano gli scacchi perché questo fosse possibile. Un gioco statico, spesso etichettato come noioso, ma in realtà pieno, pienissimo di tensione ("lo sport più violento che esista" disse Garry Kasparov, qui chiamato come consulente tecnico). Forse proprio la rigorosa precisione che gli scacchi impongono, ha fatto sì che il regista muovesse la sua macchina da presa in maniera più elaborata ed elegante di quanto non avvenga in altre serie televisive, dando così ad ogni episodio un aspetto visivamente più cinematografico della media. La Regina degli scacchi è Beth Harmon, dall'abisso al tetto del mondo. Imparerà presto a lottare sulla scacchiera e nella vita, costretta in parte anche da una vena femminista che percorre tutta la sceneggiatura (femminismo nell'accezione specifica di abbattimento del maschio e, se possibile, della religione). Ed è proprio nella caratterizzazione di alcuni personaggi il punto debole della serie. Forzature verbali e comportamentali che rivelano una faziosità fuori luogo evidentemente repressa, che schiaccia un piede all'America e strizza un occhio al comunismo. In effetti una Unione Sovietica così patinata, dolce ed accogliente solo al cinema la potevamo vedere! Tuttavia la narrazione si erge imponente su Beth Harmon e procede spedita, avvincente, con picchi emotivi dove trattenere le lacrime diventa difficile. La Joy, come una calamita, attira su di sé lo spettatore. Se continua così l'Oscar arriverà presto. Questo non deve però oscurare la piccola Isla Johnston, anch'essa in grado di bucare lo schermo e seguire perfettamente le indicazioni del regista per trasmettere la rabbia, l'impazienza, il tormento e la testardaggine della protagonista in un solo sguardo. Non a caso il primo episodio, con i suoi momenti topici, può tranquillamente essere considerato il migliore: 1. Beth vede per la prima volta una scacchiera e riconosce in essa una potenza evocativa straordinaria, 2. Beth impara con risentimento il significato della sportività (bellissima scena!), 3. Beth ottiene il suo primo premio e racconta la sua impresa imbrattata di cioccolata. La serie è autoconclusiva, adatta a chiunque (appassionato o meno di scacchi - ma la voglia di giocare verrà a tutti) e il finale è talmente potente da rendere superfluo un seguito, che mi auguro non ci sia.