Dal racconto di André Devigny: nel 1943 un componente della Resistenza, rinchiuso nel forte di Montluc di Lione, riesce a evadere con un giovane prigioniero comune.
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Questo film è l'essenza di Bresson: la recitazione sobria, la non spettacolarità, le scene che si limitano quasi solo ad un volto e ad una cella. Quello che Bresson vuole descrivere è una fuga da un carcere. Le profonde motivazioni dell'autore ci sono ignote, non esistono sevizie gratuite di terribili aguzzini, i preparativi sono mostrati nei minimi particolari. Tutto è in funzione di questo gesto, chi se ne frega cosa ha fatto l'autore prima e dopo di essa, dove andrà a finire e come reagiranno gli aguzzini. Insomma un raro esempio di cinema che descrive un puro fatto e non divaga per cercare l'attenzione dello spettatore, che deve restare focalizzato sull'evento chiave. L'antitesi, oltre che ovviamente delle americanate, anche della direzione principale cinema europeo d'autore, dove (Renoir su tutti) si cercava di più lo studio dell'animo umano che del puro evento. Purezza artistica ed onestà intellettuale d'altri tempi.