Mabel, sposata all'italoamericano Nick, con tre figli, sente crescere il conflitto con la realtà che la circonda soprattutto nei rapporti con il marito il cui lavoro lo tiene spesso lontano da casa e che gli impone ritmi tali da renderlo a sua volta spesso nervoso e intrattabile. Dopo l'ennesimo litigio, Mabel subisce un crollo nervoso in seguito al quale deve trascorrere un periodo in clinica.
Sei un blogger e vuoi inserire un riferimento a questo film nel tuo blog? Ti basta fare un copia/incolla del codice che trovi nel campo Codice per inserire il box che vedi qui sotto ;-)
Il magnum opus cassavetesiano, di primo acchito rimembra il dramma di Tennessee Williams 'Un tram che si chiama desiderio', poi riporta il pensiero alla trasposizione di Kazan, infine alla Leigh votata interamente alla parte finendo con l'esserla anche nella vita privata, e il film sembra rievocarne il dramma che colpì l'attrice britannica negli ultimi anni, il bipolarismo, l'appetito sessuale, il ricovero in clinica. Al di là di questo accostamento personale, Cassavetes canalizza tutta la sua matrice del cinéma vérité, primi piani, improvvisazione recitativa, dilatamento delle sequenze, infonde amatorialità alla riprese, il resto è lasciato alla moglie e a Peter Falk che è più di una spalla (per una volta attestato di stima sentito al doppiaggio, un piacere udirne la voce di Ferruccio Amendola che gli tempra anche il ruolo di patriarca dal sapore meridionale preponderante sulla famiglia), però qui siamo davanti ad una delle migliori recitazioni dell'era del sonoro, ed è anche naturale pensare che potesse provenire dal suo cinema, perchè se c'è qualcuno in grado di lasciare carta bianca agli attori è proprio Cassavetes. Miglior Rowlands di sempre, tra le top 20 (stando larghi) performance femminili, smorfie, faccine, infonde naturalezza alla deriva psicolabile del suo personaggio, mosso da un sali scendi umorale, stando ben distanti dal portarlo sopra le righe piuttosto ad una messinscena teatrale, quindi caricata al punto giusto, fa quasi tenerezza al ritorno dalla clinica paventata dall'apparire anormale, non è più lei, e se alla suocera sta bene, al marito mancano i tratti somatici estroversi del suo comportamento. Dalla sua prospettiva domestica, il mondo che gli ruota attorno appare così stanco, sommesso, non in grado di assorbirla, ma di repellerla. Il finale, lontanissimo dalla monoespressività del bambino e dalla struggenza del binomio rallenty-accompagnamento sonoro di Gloria, anche qui genuinità sentimentale, amore materno per lungo tempo privato agli infanti che respingono il padre (sviluppo del complesso edipico?), aperto dal desiderio di libertà dall'oppressivo e soffocante cricca di famigliari saliti all'altare del giudizio, pronti a scorgerne ogni difetto, manifestata da "Il lago dei cigni" nel quale assurge la donna.