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Un lungo taxi giallo scivola silenzioso nella notte; al suo volante c'è Travis taciturno e solitario reduce del Vietnam che macinando chilometri di asfalto osserva il mondo che lo circonda. Attraverso lo specchietto retrovisore studia le persone, è testimone di tutte le bassezze sociali e della miriade di piccole tragedie che si compiono sui marciapiedi nella notte newyorkese. E così parallelamente ad una crescente sensazione di insoddisfazione, continuamente alimentata da nuovi insuccessi personali, sale il desiderio di trovare un riscatto e la voglia di fare giustizia per conto proprio. Scorsese crea una New York cupa, selvaggia e iperdegradata, superbamente illuminata dalle luci al neon della moltitudine di locali e luoghi dove la legge non manifesta la sua presenza. La fotografia è superba così come l'escalation delirante del protagonista (De Niro da Oscar) fino all'iperviolento e sanguinario epilogo. Meno riuscita la critica sociale complice della crescente follia del protagonista (Travis è sì un reduce ma appare più una vittima di sé stesso che del sistema: la sua pochezza intellettuale e la scarsa conoscenza del mondo compromettono la possibilità di avere la donna e il lavoro dei suoi sogni), l'approfondimento degli altri personaggi (Betsy è dipinta come una perbenista conforme al sistema, ma la sua cultura è evidentemente incompatibile con la grettezza di Travis; il legame morboso e criminale tra Iris e Sport non è sufficientemente chiarito) e l'improbabile controfinale con Betsy che torna da Travis. E' invece acuta e significativa la critica all'opinione pubblica e mass mediatica pronta a trasformare un omicida in un eroe.