Il commentatore televisivo di una grossa rete nazionale di Los Angeles, Howard Beale, stanco e sfiduciato, viene condannato all'eliminazione poichè l'indice di gradimento è sceso di troppo. Tuttavia, prima di congedarsi, senza preavviso ai colleghi e ai superiori, Beale annuncia il proprio suicidio davanti alla telecamera.
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VINCITORE DI 1 PREMIO DAVID DI DONATELLO: Miglior attrice straniera (Faye Dunaway)
VINCITORE DI 4 PREMI GOLDEN GLOBE: Miglior regista (Sidney Lumet), Miglior sceneggiatura (Paddy Chayefsky), Miglior attore in un film drammatico (Peter Finch), Miglior attrice in un film drammatico (Faye Dunaway)
Uno dei pochi Lumet che mi mancava. Per anni ho voluto vederlo, ma tra un motivo e l'altro ho sempre continuato a rimandare. Con la recente scomparsa del grande regista, mi sono finalmente deciso a visionarlo. Ebbene, ne sono rimasto ampiamente deluso. Forse mi aspettavo un'altro "Quel Pomeriggio di un Giorno da Cani" ambientato tra le mura di uno studio televisivo... ma in fondo credo che la verità sia un'altra; è semplicemente un film con un buon spunto iniziale ma sviluppato in maniera piatta, stranziantemente verbosa, con una marea di situazioni forzate, e senza il minimo coinvolgimento emotivo. La critica implicita alla tv e ai mass media comandati da squali manipolatori e senz'anima si vede e si sente eccome (vedi finale), ma tutto quello che ci gira dentro e attorno, molto ma molto meno. E questo a causa degli sviluppi sopracitati, e per la presenza di dialoghi infiniti, freddi e del tutto incomprensibili. Si salva in corner solo grazie alle ottime prove della Dunaway e di Finch (entrambi vincitori di un Oscar che il sottoscritto avrebbe comunque consegnato in ginocchio a Sylvester Stallone - o Robert De Niro - e Talia Shire). Per il resto, malgrado si affronti un tema importante ed estremamente attuale, mi sono ritrovato a combattere con sbadigli, apatia e il tasto stop in più di un'occasione (e non solo io). Noioso e fiacco. Gran delusione.
Nota: tra i terroristi presenti in studio si può facilmente riconoscere un giovanissimo Tim Robbins.
Innanzitutto non è un bel film: cattivo,frenetico,isterico,violento. Poteva essere una storia interessante (il suicidio in diretta)ma finisce per diventare una chiassosa denuncia i cui elementi denunciati si trovano in tutta la pellicola e questo dovrebbe disturbare lo spettatore
Dal regista (Sidney Lumet) di splendidi film (quasi sempre a sfondo giudiziario) è un po' una sorpresa imbattersi con una pellicola davvero opaca e stracolma di difetti, insomma "Quinto potere" è un disastro cinematografico sotto tutti i possibili ed immaginabili aspetti. Anzitutto la primissima e pesante pecca alberga proprio nella trama principale ove si narra il suicidio di un commentatore televisivo, infatti la regia, partendo da ciò si dilunga pietosamente in altri passaggi, diramando il tutto e quindi spingendo le sorti della pellicola in tutta altra direzione "allungando" miseramente e forzatamente una narrazione infima ricolma di incongruenze e di paradossi; in pratica è proprio il "succo" della pellicola che non regge, film troppo "improbabile", con un finale balordo. Ma i guai sono riscontrabili anche sul piano tecnico, "Quinto potere" è un prodotto cinematografico difficile da seguire per via di un ritmo estremamente lento, piatto; piano tecnico a parte Denoto una regia catastrofica nella composizione dei dialoghi lunghissimi e a lunghi tratti involontaria rappresentazione del patetico. Da salvare in questo pastrocchio c'è ben poco, forse gli attori, l'idea di base doveva essere sviluppata in modo completamente diverso, invece nasce un film senza mordente, asfissiante nella sua staticità narrativa e di azione, molto ripetitivo e indubbiamente, poco esaltante.
Film molto furbo che cerca cinicamente di sfruttare la morte della giornalista americana Christine Chubbuck suicidatasi in diretta televisiva solo un anno prima dell'uscita del film. Il regista Lumet critica un sistema televisivo che in quei tempi non aveva ancora il potere di adesso con il clamoroso annuncio della morte dell’achorman, gesto che viene subito accantonato ma utile come specchietto delle allodole per attirare il pubblico.
La visione è molto incostante, si passa da una tranquillità apatica ad un turbinio di parole da parte dell’anchorman e della responsabile dei programmi, irritanti in entrambi i casi per il modo in cui vengono espresse, anche se spesso corrispondono alla realtà dei fatti di tutti i giorni. Totalmente fuori dalla realtà invece l’accordo con i terroristi: le forse dell’ordine non dicono nulla? Nessuna indagine? Nessun provvedimento?
Ho trovato lodevole l’idea che la televisione potesse essere pericolosa influenzatrice delle masse, ma è stato mostrato in modo troppo pesante ed estremamente chiassoso ottenendo il risultato di far calare l’attenzione dello spettatore invece d’incrementarlo come suppongo fosse l’obiettivo del regista. Trovo molto azzeccato il titolo italiano, decisamente migliore dell’originale che non dice proprio nulla.
Il finale è incomprensibile, le motivazioni del suo svolgimento possono anche essere chiare, seppur ciniche, ma il modo è fuori da ogni logica: Lumet ha preferito chiudere il film col botto confondendo ancor di più la visione.
Indubbiamente Finch non è stato affatto malvagio nell’interpretazione dell’anchorman pazzoide ed anche la Dunaway ha mostrato una buona grinta: due Oscar meritati. Gli altri si sono adagiati troppo nei loro ruoli più tranquilli e nessuno ha dato sfoggio di qualche lampo di classe tranne un Duvall in buona forma. Incomprensibile l’Oscar alla moglie tradita.
Film molto pesante, mi sento di sconsigliarlo a meno che non si abbia voglia d'avere una serata molto irrequieta.
E' un film che sente molto, sulle spalle, il peso degli anni che porta.
Nel 1975, nello svelare i meccanismi perversi di un mezzo in fondo ancora molto giovane e a cui nessuno pensava come 'mostro', Quinto Potere poteva sembrare un pellicola geniale, visionaria, persino credibile nella sua lucida follia.
Oggi quel che rimane è un film lento, didascalico, e (difetto grave) totalmente privo di senso dello spettacolo. L'ho seguito davvero a fatica, lo ammetto. Colpa anche di attori di scarsissimo appeal (a parte la Dunaway).