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Cosa succede quando un uomo ha perduto il dono della parola per poter esprimere? Cosa succede quando è sordomuto, e per questo inerme e disperato davanti a tutto quello che vede e che tenta (forse invano) di esprimere con i gesti, le buone azioni? Non è un film edificante, credetemi: è la metafora sorprendente (magari un po' facile e ammiccante, questo sì) di un'imprevedibile inganno, quello dell'umanità costretta a interagire con i gesti per esprimere il proprio dolore. Peccato solo per il finale francamente autoindulgente, per quanto ("non avrei mai creduto che avrei sparso lacrime per un uomo bianco" - cfr.) costituisca il perno della vicenda e il riscatto tardivo del personaggio. Il protagonista sembra incapace di "parlare" al prossimo, ma solo perchè gli altri, quel mondo circostante fatto di maschere e vuoti idealismi, di ricatti emotivi e piccole meschinità, di razzismo e indifferenza, non "sanno" comprendere lui. In un certo senso il regista imbastisce una commovente storia di un sordomuto facendoci "complici" della nostra (e non della sua) incomunicabilità. L'interpretazione di Alan Arkin, che non posso giudicare altro che strepitosa, dà voce a questo handicap che in fondo è il nostro handicap di gente comune, col dono della parola e con l'inconscia consapevolezza di sprecare le nostre risorse. Un attore che non esito a definire tra i piu' grandi interpreti americani degli ultimi decenni, e che magari verrà riscoperto tardivamente, come questo film