le vite degli altri regia di Florian Henckel von Donnersmarck Germania 2006
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le vite degli altri (2006)

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locandina del film LE VITE DEGLI ALTRI

Titolo Originale: DAS LEBEN DER ANDEREN

RegiaFlorian Henckel von Donnersmarck

InterpretiMartina Gedeck, Ulrich Mühe, Sebastian Koch, Ulrich Tukur, Thomas Thieme, Hans-Uwe Bauer, Ludwig Blochberger, Werner Daehn

Durata: h 2.17
NazionalitàGermania 2006
Generedrammatico
Al cinema nell'Aprile 2007

•  Altri film di Florian Henckel von Donnersmarck

•  Link al sito di LE VITE DEGLI ALTRI

Trama del film Le vite degli altri

Anni 80'. Georg Dreyman, drammaturgo, e Christa-Maria Sieland, sua compagna ed attrice famosissima, si trasferiscono a Berlino Est. I due sono considerati fra i più importanti intellettuali dal regime comunista anche se non sempre sono in sintonia con le azioni intraprese dal partito. Quando il ministro della cultura, vede uno spettacolo di Christa-Maria, se ne innamora e darà l'incarico ad un suo fidato agente di seguire la coppia ed osservare i loro interessi.

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Voto Visitatori:   8,36 / 10 (217 voti)8,36Grafico
Voto Recensore:   8,00 / 10  8,00
Miglior film straniero
VINCITORE DI 1 PREMIO OSCAR:
Miglior film straniero
Miglior film dell'Unione Europea
VINCITORE DI 1 PREMIO DAVID DI DONATELLO:
Miglior film dell'Unione Europea
Miglior film straniero
VINCITORE DI 1 PREMIO CÉSAR:
Miglior film straniero
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Voti e commenti su Le vite degli altri, 217 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  25/04/2007 00:57:28
   8 / 10
Von Donnersmarck ci racconta l'interiorità di un uomo che passa dall'essere uno dei più spregevoli volti mai visti al cinema da almeno una ventina d'anni a un'individuo pressato dalla propria coscienza: egli ama, legge poesie di Brecht, ascolta Beethoven e resta profondamente scosso quando si cita l'amoralità del Regime e degli uomini che sanciscono il controllo delle funzioni del partito.
Per quanto il film sia volutamente monolitico, è facile ravvisare qualche affinità sia con la Caccia alle Streghe del senatore McCarthy sia con i recenti (recenti, sottolineo) misteri legati all'amministrazione dell'era Putin, fatta di giornaliste morte misteriosamente e strane spie in giro per l'Europa, ristoranti giapponesi avvelenati e via dicendo.
E in maniera troppo zelante ci viene "imposto" un avvenimento storico come il crollo del Muro, come se la sovversione del potere potesse finalmente celarsi (abissarsi) nelle spire di registri che sembrano appartenere a una storia molto pià antica di quanto sembri.
La stessa requisitoria contro Lenin e "la cattiveria della rivoluzione" appare superflua se non si affronta coerentemente la storia della Rivoluzione Russa del 1918, e non sarebbe del resto compìto esclusivo di questo film.
Volendo inoltre soffermarsi sull'indubbia capacità stilistica dell'autore, sembra che la funzionalità metaforica (la sedia degli interrogatori continuamente filmata) non riesca ad esprimere compiutamente la sua efficace analisi (v. la simbologia di un'umanità dove vittime e carnefici possono essere sottoposti allo stesso trattamento, condividendo la propria prigionia ideologica).

Troppe riserve per un film che, comunque, è la vera rivelazione dell'anno: ha la capacità di esprimere la soppressione dell'Arte in tutte le sue forme a immagine e somiglianza di un Regime che assomiglia a una piattaforma di paure ancestrali e orridi incubi esistenziali, ed è un sollievo sapere che la cultura sia (stata?) una forma inesauribile di paura, che abbia fomentato l'alibi della coercizione ideologica per tanti anni.
Mi chiederei come mai oggi, in pieno capitalismo, la cultura non spaventi più nessuno, ma non voglio aprire un dibattito politico-ideologico in merito: è già qualcosa sapere che sopravvive.

Pensando a questo film, mi veniva in mente la pessima distribuzione dell'ultimo Siodelbergh, che tratta temi diversi in epoche diverse, ma che sarebbe opportuno conoscere direttamente.

Il grandissimo merito di questo film è non solo filtrato dal memorabile protagonista(co?) , ora gelido e spregiudicato, ora turbato da se stesso e dalle sue debolezze: un personaggio che mi ricorda per altri versi certi antieroi dei film di Kaurismaki, e non a caso un vago cenno "nordico" (nell'assoluta inflessibilità emotiva degli eventi) c'è di sicuro.
Il merito è anche nelle ambientazioni: nella clandestinità di una dimora, anche davanti a un liberatorio (rassicurante?) compleanno, o nelle pieghe di un potere che utilizza una forma spietata ma neutrale di tortura mentale, come le "cinque tipologie caratteriali dell'attore" che sembrano citare (o è impressione mia?) nientemeno che "Il Metodo Stanilavsky".
Del resto il regista è abilissimo sia a suggerire la concezione di "Missione" (cfr. Munich di Spielberg) sia la laida brutalità di un potere gestito da ministri corrotti e capaci di ogni vessazione (sconvolgente, nella sua eversione coercitiva e mentale, la sequenza dello stupro).
Ripeto, a volte ho avuto come l'impressione che l'autore del film fosse necessariamente sprovvisto della pazienza necessaria per sviluppare più alacremente le sue ipotesi, e come se si disfacesse - come la stessa ideologia - delle tensioni approdasse a un finale vagamente vicino ai favori della massa (dello spettatore).
Ma sia benedetto un personaggio come Wiestler, che come Gene Hackman in un noto capolavoro di Coppola avverte la sua quotidianità riflessa nel fallimento della sua "altra visione" e nelle drammatiche modalità della sua (e altrui) sopravvivenza mentale

7 risposte al commento
Ultima risposta 22/03/2008 23.57.24
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