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Svankmajer e Carroll, due geni che hanno espresso se stessi attraverso le immagini di un'infanzia tutt'altro che idilliaca quanto piuttosto ambiguamente vitale. Svankmajer definì il suo Jabberwocky come un ricordo freudiano dello sviluppo di un bambino attraverso tutte le sue fasi. Il non-sense del poemetto di Carroll fa da giusta introduzione al bizzarro ed impetuoso scorrere della vitalità dell'infanzia, continuamente oppressa dall'autorità paterna (e di riflesso, da quella statale) rappresentata dal ritratto ovale dell'uomo barbuto, che all'inizio darà sculacciate ma sarà poi inevitabilmente sconfitta e derisa.