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Il tema di questo film è l’angoscia dell’incomprensibile. Sono tre ore di angoscia ininterrotta, mostrata in tutte le sue forme, in più luoghi e in più tempi e con più personaggi. Tutto sembra slegato, ma in realtà è accomunato da questo sentimento oppressivo che grava come una malattia sulla psiche di chiunque abbia la ventura di apparire sullo schermo cinematrografico. Angoscia del degrado ambientale e della prostituzione. Angoscia nel trovarsi in luoghi, in tempi e con persone sconosciute, senza sapere perché. Angoscia della quotidiana e banale vita senza senso, vissuta da persone-coniglio. Angoscia nel trovarsi di fronte a una donna misteriosa, dallo strano sguardo e dalle strane parole, che fa strane profezie. Angoscia nel vedere tutto ridotto a spettacolo e pettegolezzo. Angoscia di un film maledetto, dove non si capisce più dove finisce la finzione e inizia la realtà. Angoscia nell’amare sentendosi in preda al senso di colpa, con il peso di matrimoni in crisi. Angoscia nel vedersi come doppia attraverso un vetro e trovarsi in altri luoghi e in altri tempi. Angoscia di una scritta misteriosa sopra porte che aprono su altre dimensioni. Angoscia nel sentirsi ipnotizzati, desiderosi di uccidere. Angoscia nel ricordare una vita fatta di strupri e violenze. Angoscia suprema nel sentire arrivare la morte nell’indifferenza generale. Angoscia nello spettatore che stenta a trovare un filo logico in quello che vede. C’è chi ha parlato di Bach. Io ho pensato invece alla musica dodecafonica: c’è la stessa mancanza di legami fra le parti, quello stridore e quell’atmosfera che produce tanta angoscia. Nel film ci sono molte citazioni letterarie e cinematografiche. Il racconto assurdo degli stupri mi ha fatto pensare al teatro elisabettiano, mentre l’ambientazione baltica e certi risvolti della storia a E.T.A. Hoffmann. Il telefono che squilla sembrava uscito da Stalker. Alla fine del film mi sono detto: ecco, questo è quello che vive e pensa un pazzo in un manicomio, questa è la sua logica, questi sono i suoi sentimenti e pensieri. Fatto sta che uscito per strada ho faticato un poco per riprendere il filo logico di quello che stavo facendo e perché lo stavo facendo. Il film non è un capolavoro. Ci sono due scene bellissime: quella in cui Nikki corre in una strada, presa da un quadro di Munch, urlante verso la cinepresa e quella finale che sembra rompere l’incantesimo dell’angoscia
quando spara in un corridoio 4 colpi di pistola che illuminano una faccia che via via diventa quella di un grottesco pagliaccio sanguinante
per il resto è troppo prolisso e ogni tanto cade di tensione (ho anche sentito una persona sbadigliare). A suo favore gioca il fatto che sono pochissimi i cineasti che si sono azzardati ad affrontare un argomento del genere, con uno stile del genere. Eppure per tutto il film non ho fatto altro che pensare a Shining. Quello lì sì che affronta gli stessi temi (l’angoscia, i destini che si incrociano, l’irrompere dell’irrazionale, il subconscio che ha il sopravvento) con uno stile immaginifico che però non ha una sbavatura, né un calo di tensione. Tranquillo, Kubrick, non ti hanno ancora superato.