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Cercare la summa stroboscopica dello stile registico di David Lynch in INLAND EMPIRE appare imperativo nell'eccezione data dal primo appuntamento dell'autore, promotore del glitch e del bug come cifra stilistica, con la macchina da presa digitale, strumento funzionale e metacinematografico per raccontare un certo tipo di decomposizione e frammentazione dell'immagine. Sotto questa luce, un minimalismo tecnico già metabolizzato dal cinema europeo non può sicuramente soddisfare le aspettative, neppure con delle interessanti sperimentazioni di deformazione, filtraggio e collage sparse qua e là con poca coerenza o sorprendendo con un criptico racconto, indistinto tra realtà e finzione, tra corpo e mente, ma generalmente anch'esso poco originale nell'offerta di una nuova favola sui doppelganger.