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Incubo kafkiano ad occhi aperti (e chiusi) per un film in cui Dreyer mostra una lunga sequela di invenzioni registiche e di immagini significative e significanti: dall'utilizzo della luce a quello delle ombre (che spesso riempiono spazi vuoti), dai dettagli di oggetti alle allusioni visive, dai primissimi piani (non a caso è il regista di Giovanna D'Arco) alla soggettiva del vampiro nella bara, dagli improvvisi squarci naturalistici degli esterni ai lugubri tagli geometrici degli interni, "Vampyr" è opera di maestria immaginifica e sensazionale (perché sui sensi dello spettatore va a lavorare), è testo stratificato e sognante, è capolavoro visivo e concettuale sull'orrore del sogno e quello della vista.