Fred Dobbs è un vagabondo senza lavoro. Conosce un vecchio cercatore d'oro e inizia a lavorare sodo seguendo, con lui e un altro uomo, un nuovo filone. In poco tempo raccolgono una discreta fortuna, ma Dobbs vuole tenersi tutto per sé: colpisce il compagno e fugge. Viene però assalito da dei banditi messicani che lo uccidono per rapinarlo, ma, ignorando il valore di quella polvere gialla, la buttano via per tenersi gli attrezzi e le cavalcature.
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Pochi, pochissimi film hanno mantenuto un'attualità così disarmante che li rende pregni di significato concettuale sia alla data della loro uscita sia a più di 70 anni di distanza. Questo affresco sull'avidità umana di Huston non ha perso un grammo (d'oro) della sua forza, della sua quasi sociologica accusa contro il desiderio di ricchezza che trasforma gli uomini e li fa diventare schiavi di un desiderio fagocitante. Non è un caso che l'epilogo salva i due personaggi "umanisti" e condanna inesorabilmente l'avido egoista. E non è un caso che sempre nel finale il grande lavoro fatto dai protagonisti si perda nel vento, simbolo della fugacità delle cose e della loro labilità (e così il cactus su cui si ferma un sacchetto, dalla ricchezza viene dolore). Si può capire che la moralità risolutiva e dicotomica della pellicola forse può stonare in un'epoca dove i giudizi morali sono più sfumati e meno netti. Eppure quest'opera di Huston non solo è una summa di ritmo, coinvolgimento e avventura ma è anche un grandissimo film sul sospetto umano, sulla paura, sull'egoismo, sulla saggezza delle piccole cose, sull'inevitabile fallimento.