Giovane ebreo, appassionato della corsa, s'imbatte in criminale di guerra nazista che torna dall'Uruguay a New York per entrare in possesso di diamanti, custoditi per lui dal fratello ora defunto. Duello mortale.
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Il paradigma del thriller: tensione altissima, situazione intricata ed un cattivo veramente cattivo. Ne "Il maratoneta" c'è tutto, con l'aggiunta di un eccellente coppia di protagonisti in cui, per una volta, Hoffman è surclassato dal suo comprimario, uno straordinario Laurence Olivier in un ruolo del tutto atipico per lui. Epperò il suo Dr. Szell è indimenticabile, uno dei malvagi più malvagi ed epici della storia del cinema, che raggiunge il suo apice nella famosissima scena della tortura sulla sedia da dentista. Strana carriera quella di Schlesinger, capace di girare due film come questo e Midnight Cowboy e poi di navigare in acque mediocri, senza riuscire ad imprimere la propria impronta nella new Hollywood come molti altri suoi colleghi. Curioso, poi, come in questo film Dustin Hoffman non venga doppiato da Ferruccio Amendola ma da Giancarlo Giannini che scimmiotta Ferruccio Amendola, in una delle sue prove al doppiaggio meno convincenti.
"Il maratoneta" è un thriller piuttosto intricato, certamente non molto "plausibile", ma tutti i difetti sono riscattati da una tensione e da un pathos sempre crescenti, che culminano in uno splendido finale. Perfette anche la fotografia e la regia di Schlesinger, caratteristico il montaggio fatto di dissolvenze incrociate di tipo sonoro (il suono della scena successiva "invade" il termine della scena precedente, creando sorpresa, attesa o inquietudine). Le interpretazioni degli attori sono anche quelle veramente notevoli. Ottimo prodotto, legato strettamente all'atmosfera degli anni in cui usci (seconda metà degli anni '70), ma tutto sommato ancora piacevole e di effetto se visto pure oggi. Il "non plausibile" fa parte ovviamente del genere thriller e normalmente viene accettato, purché non ci siano contraddizioni o smagliature troppo evidenti. In questo film non ce ne sono, a parte una:
Come fa Doc a giungere a casa di suo fratello Babe ferito a morte, senza essere notato da nessuno? Fa tutta la strada a piedi conciato in quella maniera?
Ci sono poi le solite forzature, come il protagonista che la fa sempre franca e che alla fine ha la meglio. Ma tutto questo è accettato, anzi quasi previsto. L'importante è che la vicenda ci tenga con il fiato sospeso, ci faccia soffrire e trepidare come soffre e trepida il protagonista, ci faccia sentire "piccoli eroi avventurosi" anche solo per 2 ore. C'è poi tutta la ricostruzione perfetta di New York che ce la fa proprio vivere dal di dentro, sia nei suoi monumenti simbolici, sia nel suo ventre fatto di quartieri degradati e violenti. La parte tecnica del film è quindi promossa a pieni voti. Dal punto di vista della storia narrata, questo film si situa nel solco dei film sfiduciati e pessimisti (tipici degli anni '70) che puntano più che altro a mostrare le conseguenze negative della rivoluzione liberalizzatrice, sociale e culturale, degli anni '60. Come dire: "avete voluto una società non coercitiva, non oppressiva, avete voluto liberarvi dell'ordine e delle regole, avete voluto il riscatto dei ceti bassi (i proletari, gli immigrati)? Ecco il risultato: non funziona niente, c'è degrado, confusione, violenza, insomma una mezza catastrofe". Anche se esagerata, in qualche maniera la sensazione coglieva un sentire comune piuttosto diffuso e anche il pensiero di tanti intellettuali, i quali avevano la sensazione che la realizzazione del "moderno" (tutti i progetti di benessere, integrazione, realizzazione individuale) non sia stata fatta a dovere o con lo spirito giusto. Il risultato senz'altro ha deluso, se non altro a livello etico, sentimentale e ideologico. Il mondo sarà più moderno, più sfavillante, ma è un mondo invivibile, senza più solidarietà, con tanta indifferenza, frustrazione, rabbia; un mondo dove non c'è una istituzione salda e sana (pure la polizia o i servizi segreti sono bacati e corrotti) e dove non resta che la dura sopravvivenza con tanta amarezza e tanta solitudine. Il film che ha inaugurato questo filone è stato "Cane di paglia" di Peckinpah e in effetti pure in questo film se ne sentono gli echi (sia nel protagonista, Dustin Hoffman, sia nel suo personaggio di debole e studioso che si improvvisa duro e infallibile carnefice).
ho trovato questo film abbastanza sopravvalutato, più che altro perchè le scene del diverbio iniziale e della famosa tortura sono apici in un contesto abbastanza ordinario e raramente si raggiunge la stessa intensità nel resto della storia. a tratti un po' forzato, con una trama che finisce per essere arzigogolata creandoci confusione intorno, mette anche troppa carne al fuoco e non approfondisce bene alcuni temi che invece vengono affrontati perdendoci del tempo per introdurli (la morte del padre su tutti). restano comunque ottime le interpretazioni, in special modo quella del fratello interpretato da Roy Scheider e ovviamente del protagonista.
un taxista prenderebbe a bordo di notte uno con indosso solo i pantaloni del pigiama, tutto sporco e totalmente sconvolto? non lo so...come non so se sia tanto veritiero neanche tutto ciò che accade da quando Dustin Hoffman riesce ad entrare nel portone di fronte alla sua abitazione.
"Ma perché questo ragazzo non recita e basta!"... Così il vecchio Olivier lamentava aspettando, stanco e malato, il momento di cominciare le riprese dei propri duetti con Hoffman costantemente impasticcato al fine di simulare il dolore e lo stordimento conseguenza delle torture subite; mentre conseguenza dell'impasticcamento era il continuo dimenticare le proprie battute.
Grande thriller spionistico. Grandi interpretazioni, buona ambientazione e buona regia. Per gli amanti del genere da non perdere.
Un thriller di quelli fatti davvero bene, come se ne vedono pochi oggi. Un duello freddo e cupo tra un facoltoso criminale nazista ed un laureando ebreo che ha già molte ombre nel suo trascorso famigliare. Un duetto magistrale tra due attori di serie A, le scene migliori infatti sono quelle in cui Laurence Olivier e Dustin Hoffman si trovano faccia a faccia. La scena della tortura dentistica credo sia rimasta impressa a molti..."è sicuro?"
Un bellissimo thriller psicologico, pieno di tensione, con una musica angosciante, una splendida fotografia e grandi attori . Bravissimo Hoffman, superbo Olivier, e una ottima parte riservata anche a Roy Sheyder. Da antologia la sequenza della tortura ai danni di Hoffmann, rimane sicuramente impressa. Nella prima parte è più psicologico, nella seconda parte è più spettacolare. Forse la seconda parte funziona di più e rimane più impressa. Il finale comunque non mi convince, ma nel complesso è un film più che buono.