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Un film senza una narrazione precisa, ma che descrive l'universo quotidiano di una tossicodipendente. Il film sembra più un documentario, a volte mi ricorda il primo Cassavetes perchè sembra quasi improvvisato, con Una New York sullo sfondo scrutata nei suoi angoli più nascosti e oscuri. Bel plauso alla protagonista, esordiente e reale tossicodipendente che ha portato molto del suo vissuto personale in questa opera.
Quasi un documentario questo "Heaven knows what", buon esempio di cinema indie dalla genesi molto particolare. Galeotto fu infatti il casuale incontro tra (l'allora) 19enne Arielle Holmes -tossicodipendente e sbandata- e i due registi (Ben e Joshua Safdie) i quali hanno dapprima convinto la ragazza a scrivere delle sue esperienze e quindi a recitare per loro. Cosa che è regolarmente avvenuta visto che la giovane, oltre a cambiare vita, ha dato alle stampe "Mad love in New York City" da cui il film è tratto, per poi prestarsi ad interpretare Harley, la protagonista di questa pellicola. Tra attori improvvisati e professionisti (tra essi Caleb Landy Jones alle prese con l'ennesimo ruolo "particolare" della sua proficua carriera) ci viene proposto un drammatico spaccato della Grande Mela attuale, abitata negli anfratti più luridi e bui da una folta schiera di giovani homeless dediti all'abuso di droghe e alcol, divorati dalla frenetica esigenza di trovare il modo per farsi. Sicuramente non nuovo nelle tematiche il lavoro dei Safdie si segnala per lo stile crudo un po' vintage, super partes nel voler raccontare di questi reietti del nuovo millennio, vittime ma anche carnefici di loro stessi. Non è richiesta alcuna patetica comprensione, come non vi è alcun accenno a condanne pedanti, semmai vi è un sottile senso di colpa a muovere le vite dei protagonisti per i quali si riesce ad avvertire veemente la totale indifferenza del mondo circostanze. "Heaven knows what" è anche - ma forse sarebbe il caso di dire soprattutto- una storia d'amore folle, altamente conflittuale, deviato, incomprensibile, in linea col mondo da cui è stato partorito. Come il tragico classicismo insegna il pulsante sentimento viene intrecciato con l'ombra della morte, compagna inevitabile e inseparabile per chi ha deciso di (soprav)vivere così.