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Il film è veramente divertente, ben fatto e interessante da diversi punti di vista, sia generali (su come gestire la propria vita), che particolari (la maniera con cui attualmente percepiamo il reale). I minuti iniziali sono secondo me la parte più riuscita del film. Diciamo che è un’idea molto originale e ben riuscita quella di far presentare i personaggi da loro stessi, guardando direttamente la macchina da presa. In questo maniera si crea distacco e interesse fra lo spettatore e ciò che appare sullo schermo e così possiamo percepire e giudicare spassionatamente i caratteri e i relativi comportamenti. Si tratta di persone varie e interessanti, ognuna con la propria particolare personalità che rimane impressa. Quello che salta all’occhio nel modo con cui si presentano è il fatto che accennino di sfuggita o non dicano per niente che mestiere fanno, qual è il loro rapporto con il resto della società. Si concentrano soprattutto sul lato esistenziale della loro vita e sui piccoli/grandi problemi interiori da cui sono “afflitti”. Di fatto si crea come una zona neutra, particolare, che esiste soprattutto al cinema o in televisione, in cui si parla soprattutto di fatti soprattutto privati, anche importanti e seri (come avere pochi giorni da vivere a causa di un tumore, oppure la necessità di rivelare verità sessuali scomode) ma che escludono e quasi sostituiscono le enormi contraddizioni sociali e etiche che stanno sconquassando la nostra società. Questa zona neutra (in cui vivono i grandi fratelli, i talk show, i telegiornali) finisce per sostituire e annullare il “reale”, sentito come brutto, spiacevole e poco interessante. Del resto lo vediamo anche in questo film dove il problema dell’immigrazione (i cinesi) o del disagio sociale (il graffitaro) vengono citati di sfuggita, trattati come eventi leggeri, quasi folkloristici. Eppure in passato le commedie, pur restando fedeli al canone stilistico, graffiavano, mostravano impietose le contraddizioni o le verità scomode. Adesso in genere si tende sempre ad edulcorare o a nascondere i contrasti. Questo film in qualche maniera rende palese la prevalenza del fittizio sul reale, proprio evidenziando il gioco scenico che sta alla base della rappresentazione. Pirandello si era servito di questa figura retorica per denunciare la spersonalizzazione dell’individuo nella società burocratica moderna, Salvatores la usa invece come via di fuga, come rifugio in cui ci si può divertire, consolarsi o magari sognare, vivere in un “reale” migliore. L’intenzione di abbellire e trasfigurare l’esistente è chiara anche dalla scelta di Simon & Garfunkel e dei Notturni di Chopin per contrappuntare le immagini che scorrono. Quella musica appartiene ad un registro poetico “positivo”, di tipo introspettivo-delicato-nostalgico, adatta per rendere bella e accattivante qualsiasi situazione. Con il Notturno di Chopin come sottofondo apparirebbe bella in bianco e nero qualsiasi città del mondo, persino New York o Il Cairo o Tokyo. Il sogno di riuscire a vivere in armonia in una situazione comunitaria ristretta (famiglia o gruppo di persone amiche) è l’unico desiderio-aspirazione che è rimasto alla coscienza collettiva italiana di oggi. L’unico argomento che riesce a farci sorridere o commuovere, l’unica fonte di ironia solare che ci viene concessa. Personalmente capisco il desiderio di evadere nella leggerezza imponderabile e affascinante che ha la dimensione privata domestica dell’esistenza umana (specialmente dei ceti medio-alti), speriamo solo che non ci caschi questo bel mondo tutto all’improvviso addosso. Se non altro non ce siamo accorti (o più probabilmente non abbiamo avuto il coraggio di guardare).