Il film è il secondo capitolo della saga sci-fi tratta dal romanzo di Frank Herbert. Protagonista della storia è ancora una volta Paul Atreides (Timothée Chalamet), che dopo essersi unito a Chani (Zendaya) e agli altri Fremen, medita vendetta contro i cospiratori, che hanno distrutto la sua famiglia. Quest'avventura lo porterà a intraprendere una missione molto importante, che gli permetterebbe di impedire la realizzazione di un terribile futuro, che soltanto lui è capace di prevedere.
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Sicuramente una buona prosecuzione del precedente-antefatto del 2021, dove la messinscena ispirata di Denis Villeneuve riesce a sfruttare al meglio il potenziale immaginifico di deserti, architetture minimal e al contempo austere che guardano a certa fantascienza espressionista-sovietica, i begli scorci pseudo-nipponici della nostrana Tomba Brion. Merito anche dell'ottima fotografia spesso bruciata e talvolta persino in infrarosso (la presentazione gladiatoria di Feyd-Rautha) di Graig Fraser, capace di differenziare popoli e strutture tramite sensibili variazioni cromatiche. Come nel primo capitolo l'action si esaurisce in pochi minuti, mentre maggior spazio viene dedicato alla fitta descrizione di personaggi-pedine di un gioco imperscrutabile, vicende di guerriglia, intrighi politici architettati e sviluppati nel corso di secoli. Il disegno complessivo è quello del tipico capitolo di transizione in vista di una terza parte praticamente già annunciata, dove per forza di cose l'intreccio si complica spesso a discapito del peso di alcuni personaggi. Insomma, non esattamente il caso di quel Le Due Torri che da alcuni cinefili è stato sbrigativamente tirato in ballo. Sul piano del sottotesto si ravvisano invece i maggiori punti di forza: dietro la parabola messianica di Paul Atreides si nascondono punti di contatto con l'oggi per quanto riguarda fondamentalismo religioso e pericoli dell'eterno ritorno dittatoriale, a riprova di quanto la controparte cartacea di Frank Herbert fosse decisamente in anticipo sui contemporanei. Encomiabili musiche di Hans Zimmer, che ci riconducono a incursioni etniche, parentesi liriche, scariche e rimbombi, progressioni e corali minacciosi non lontani dal lavoro dei Geinoh Yamashirogumi per Akira.