Tre camionisti texani vengono a diverbio con uno sceriffo loro vecchio amico e lo stendono assieme ai suoi aiutanti. Devono poi fuggire dallo Stato per evitare rappresaglie. Durante la corsa verso il Nuovo Messico, al terzetto si uniscono molti amici e colleghi, in una carovana che getta lo scompiglio nell'intera contrada.
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Tamarrissimo ed eroico allo stesso tempo. Lo scontro Kristofferson-Borgnine assume le cadenze di uno scontro epico in cui i duellanti sembrano non conscere le ragioni reali delle loro gesta, come mossi da una forza più grande di loro, pedine di un gioco universale. Per questo mi ha ricordato "L'imperatore del nord" di Aldrich.
Fondamentalmente è un buon film di genere, con molto movimento e azione, tipico degli anni ’70. Sono molte le scene spettacolari in cui dei camionisti (amanti della libertà, della velocità, della birra, degli scherzi e delle battute salaci) cercano di fregare i poliziotti e in genere l’ottusa burocrazia. Inseguimenti, corse su strade impolverate, sandwich fra i camion, scherzi, sfottò, battute, sfide, ecc … Insomma non si rischia di annoiarsi e il divertimento è assicurato, anche se ci si mantiene sempre sul genere leggero e su binari di prevedibilità. Se si scava più a fondo ci si accorge che questo è il film in cui meglio si capisce l’etica individualista, anarchica e libertaria alla base del mondo ideale di Peckinpah. Infatti il valore che viene messo in evidenza nel film è la libertà: la libertà da regole (gli odiosi e insensati limiti di velocità), la libertà dai maneggi della politica, la libertà di movimento (le cavalcate con i camion). Viene fuori anche qui lo stile di vita che era dei cowboy, cioè senza fissa dimora, senza agi, duro e anche violento, ma che dà così tanta pienezza di vita! Certo che queste figure sono abbastanza idealizzate e generiche. Intanto si scava poco nella vita materiale spicciola dei camionista. Tra l’altro meraviglia la poca cura che hanno del lavoro che devono svolgere (il carico arriverà mai a destinazione?). Anche in “Convoy” quello che conta sono le regole non scritte della solidarietà di gruppo. I camionisti formano fra di sé un legame tipo che quello che univa il Mucchio Selvaggio e non esitano ad abbandonare tutto pur di correre in soccorso di un loro membro umiliato. In questo film si delinea netto il sentimento di avversione per le regole legali e di sfiducia nella politica. La legge non è altro che l’arbitrio di chi la applica (vedi anche Getaway) ed è nelle mani di gente sadica e frustrata, oppure di mezze calzette. La satira della polizia qui è decisamente forte. Anche i politici ci fanno pessima figura e appaiono come puri e semplici opportunisti da evitare come la peste. Il messaggio di tipo anarchico è molto chiaro. C’è da dire che Peckinpah ci tiene a ritrarre il protagonista come un tipo di buone maniere, anche moderato e che sa perdonare; è piuttosto il poliziotto quello che insiste e non si dà pace per vendicarsi. Tutto sommato però l’uno non può fare a meno dell’altro, per questo sotto sotto si apprezzano a vicenda. Anche stavolta si dà allo spettatore la soddisfazione di vedere il protagonista poter continuare imperterrito a perseguire il proprio ideale di vita piena, avventurosa e libera, l’utopia di quasi tutti i film di Peckinpah.
Gli appassionati di film On The Road americani possono anche apprezzare questo film dal montaggio abbastanza modesto e dalla trama piuttosto banale. Soltanto la mano sapiente di un regista dello spessore di Peckinpah riesce comunque a rendere il film piacevole anche con un cast di attori un pò povero. Pellicola prettamente americana si fa apprezzare per i bei paesaggi ed anche, a chi piace, per della buona musica country.