In un'America sull'orlo del collasso, attraverso terre desolate e città distrutte dall’esplosione di una guerra civile, un gruppo di reporter intraprende un viaggio in condizioni estreme, mettendo a rischio le proprie vite per raccontare la verità.
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Road movie con cui Garland ci parla di guerra, dei suoi orrori, della sua stupidità e, last but not least, dei mezzi d'informazione, in un futuro distopico ma possibile e realistico (ricordate i fatti di Capitol Hill?). Le motivazioni non sono date a sapersi, non sono importanti ai fini di quello che viene raccontato, così come non è importante quale delle fazioni sia nel "giusto" (sempre se ci sia una parte nel giusto, molto probabilmente no); del resto chi non è direttamente coinvolto preferisce far finta che niente di tutto questo stia succedendo, concetto ribadito più volte durante il film. Protagonista è invece un gruppo eterogeneo, appartenente a tre diverse generazioni, un quartetto con un forte legame instaurato nel tempo o più di recente (nel caso di Jessie) ma che mette (quasi) sempre davanti a tutto (compresa l'incolumità) il proprio obiettivo di reportage di guerra con una freddezza quasi inumana. Ma umani in realtà lo sono, e lo scopriremo quando la morte arriva tanto vicino da toccarli con mano e il peso di paura e dolore sarà troppo forte.
Ottimo il comparto tecnico, straordinaria la regia, notevoli le interpretazioni di tutto il cast. E a proposito di quest'ultimo punto va assolutamente citato Jesse Plemons, protagonista di una parte molto piccola ma che in pochi striminziti minuti riesce a creare un personaggio che rimane impresso per freddezza e spietatezza.
Per me questo è grande cinema. Uno dei migliori che abbia visto quest'anno.