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Tempo fa mentre discutevo sul tema dell'aborto con delle persone, una di queste disse che la vita embrionale dell'essere umano è come quella di una formica e schiacciare una formica è una cosa da nulla. Così lo salutai in fretta dicendo che si era fatto tardi e che dovevo rientrare nel formicaio.
Etichettato da molti come antiabortista (come se la cosa fosse un reato) "Blonde" è sicuramente un film senza mezze misure e senza compromessi. L'enfasi negativa dell'etichetta "antiabortista" e le critiche ricevute a Venezia, dove è stato presentato in anteprima mondiale, non devono stupire, in particolare in questo momento storico dove si ha paura di parole come "natalità" e "famiglia", considerati flagelli dell'umanità e piaghe d'Egitto.
Il film è un condensato della vita di Marilyn Monroe e della donna che c'era dietro la maschera, che il regista tratteggia con uno stile psichedelico e orrorifico, non per darsi delle arie, ma perché non è un mistero che la vita di Norma Jeane Baker, dall'infanzia fino alla prematura scomparsa, sia stata una sofferenza costante, un incubo mentale e spirituale, causato dal prematuro abbandono del padre e dalla voracità di un mondo predatorio e perverso, che divora chi è più fragile, proprio come il ghepardo fa con la gazzella più debole, quella più propensa ad inciampare (pure su questo pioggia di critiche dalle femministe "vecchia scuola" per le quali la donna non può essere debole ma sempre forte come Schwarzenegger).
Non è una biografia patinata, ma una rielaborazione romanzata che vuole puntare il dito sull'annullamento della persona ridotta ad oggetto. E la debolezza di certe critiche nasce proprio dal non rendersi conto che il film non vuole parlare di Marilyn Monroe, bensì di chi la osserva, di chi ne abusa, di chi ne ha fatto una pepita d'oro costringendola perfino a rinunciare alla gravidanza causandole un trauma, mentre lei continuerà a ricordare quel bambino mai nato abbandonandosi a suggestioni oniriche (male interpretate dagli abortisti di trincea che alla vista di un feto non capiscono più niente e non dormono più la notte).
Il fatto che Dominik stesso inciampi in alcune scene, perdendo un po' il senso della misura (mi riferisco ad esempio all'enfasi sbrodolona del rapporto a tre con Chaplin Jr. e Robinson Jr.), è la conseguenza dell'estrema densità della materia narrata. Non è un film perfetto e non bisogna esaltarlo oltre un certo limite, soprattutto non è un film per tutti, ma per un pubblico maturo potenzialmente fornito delle giuste chiavi di lettura, visto che la forza con cui parla di abuso e disperazione mette a dura prova lo spettatore e non teme confronti con altre opere sul tema, in particolare perché lo fa per immagini, fino a diventare metacinema. Le fotografie di Marilyn Monroe, che hanno letteralmente fatto il giro del mondo, è come se prendessero vita. Ana de Armas sembra uscire dall'iconografia per dare vita a Marilyn, attraverso quello che, a tutti gli effetti, sembra un miracolo di esperienza visiva e che, per questo, trova piena legittimazione sul grande schermo.