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I Coen mettono in scena un'odissea esistenzialista di un antieroe, parabola discendente sulla (dis)illusione di un perdente. Racconto di vita intimo e sognante, proprio come la strabiliante fotografia di Bruno Delbonnel, di un cantante talentuoso, attaccato alla propria arte nella sua forma più pura e semplice, senza compromessi, e anche per questo disdegnato da quell'ambiente musicale dove tenta invano di emergere, cercando di fuggire da una realtà triste ed intollerabile in cui "sopravvivere e basta" non è abbastanza. Coadiuvati dalla solita e proverbiale maestria tecnica ed oscillando perfettamente tra una vena malinconica ed una vena sarcastica, nella loro più classica poetica, i due registi ci fanno immergere in un piccolo universo amaro e freddo che racchiude tutto il loro cinema in un concentrato di rimandi (da "Fratello, dove sei?" a "A Serious Man", passando da "L'uomo che non c'era") e nuove intuizioni, in un sentito omaggio alla città New York dei primi anni '60 e alla musica folk, protagoniste di una pellicola struggente e romantica che definire minore è fare un torto al cinema stesso.