Recensione pirati dei caraibi: ai confini del mondo regia di Gore Verbinski USA 2007
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Recensione pirati dei caraibi: ai confini del mondo (2007)

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locandina del film PIRATI DEI CARAIBI: AI CONFINI DEL MONDO

Immagine tratta dal film PIRATI DEI CARAIBI: AI CONFINI DEL MONDO

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Dopo otto mesi dall'uscita del capitolo "La maledizione del forziere fantasma", ecco approdare in Italia il terzo episodio della trilogia "Pirati dei Caraibi". "Ai confini del mondo", assieme alla pellicola precedente, è indubbiamente una delle più mastodontiche produzioni della storia del cinema mondiale. I due film, girati assieme, sono costati qualcosa come mezzo miliardo di dollari; il solo secondo capitolo ha incassato complessivamente più di un miliardo di euro, diventando così il terzo film con il maggior incasso della storia del cinema (dietro a "Titanic" di James Cameron e a "Il ritorno del re" di Peter Jackson). Il terzo capitolo, dal canto suo, non gli è da meno: il budget, di circa 220 milioni di dollari, è stratosferico e i primi incassi sono davvero impressionanti: negli Stati Uniti, dopo il primo week-end di programmazione, ha già incassato oltre cento milioni di dollari. Anche in Italia "Ai confini del mondo", è stato un autentico successo: quasi sette milioni di euro guadagnati al botteghino nei primi giorni di programmazione. Gli sforzi economici di Jerry Bruckheimer sono stati quindi pienamente ripagati.

Come già ricordato, questi due capitoli della saga de "Pirati dei Caraibi" sono stati girati "in blocco". Per intenderci, quello che già avvenne qualche anno fa con la trilogia de "Il Signore degli Anelli". Inutile dunque ricordare che sia il cast tecnico che quello artistico rimangono quasi identici a quelli del trascorso episodio. Ecco così tornare davanti agli occhi il nome dell'ottimo Wolski, autore di una quantomai riuscita fotografia. Le tinte scure, già viste nel secondo episodio, diventano qui una costante; il lavoro di Dariusz è assolutamente impeccabile ed egli può uscire a testa alta da questa doppia prova. Ma del resto, Wolsky aveva già collaborato a film che richiedessero una fotografia scura: oltre a "Il corvo" (di Alex Proyas) egli ha anche dato il suo apporto a lavori quali "Il delitto perfetto" (di Andrew Davis) e "Dark city" (sempre di Proyas). E' dunque da segnalare che l'ottima fotografia, in comunione con la straordinaria efficacia degli effetti speciali, conferiscono a "Ai confini del mondo" una potenza visiva davvero gagliarda. Ancor più che nel precedente capitolo, alcune sequenze (v. grande scontro finale), sono davvero uno spettacolo impressionante e, viste su grande schermo, non possono lasciare indifferenti. Inutile quindi ricordare che spettacoli come questi, vanno assolutamente visti al cinema, se si vogliono valorizzare appieno.
Anche perché rimangono forse gli unici spunti di interesse di una trilogia che ormai sembra abbia davvero poco da dire.

Ricordiamoci, ordunque, come avevamo lasciato le cose con "La maledizione del forziere fantasma". Il capitano Jack Sparrow è stato inghiottito dal gigantesco kraken di Davey Jones. Confinato in una dimensione parallela, verrà salvato dai nostri temerari amici, capitanati da un redivivo Capitan Barbossa. Insieme al consiglio dei nove pirati nobili dovranno sconfiggere il nuovo comune nemico vale a dire il malvagio Lord Beckett intenzionato a sterminare per sempre i pirati.

Se, come già ampliamente evidenziato, la componente prettamente tecnica di questo terzo capitolo de "I pirati dei Caraibi" è davvero eccelsa, altrettanto non si può dire della sceneggiatura. Affidata, come sempre, al duo Elliot-Rossio, nell'episodio conclusivo della (prima?) trilogia de "Pirati dei Caraibi", la qualità della sceneggiatura è davvero di infima lega. Il continuo rimescolamento delle carte, la sterminata pletora di protagonisti, antagonisti, caratteristi e chi più ne ha, più ne metta, complica inverosimilmente la visione di un film che si deve assolutamente porre come qualcosa di semplice e diretto. In effetti, il caleidoscopio di personaggi e fatti appare a dir poco forzato; tanti "dubbi" rimangono totalmente irrisolti. Inoltre i dialoghi della pellicola sono tutt'altro che brillanti; escludendo le parti coperte da Rush e da Depp, tutti gli altri personaggi recitano battute preconfezionate che sembrano essere uscite fuori dai biglietti dei biscotti della fortuna. Indimenticabile un personaggio, che per ovvie ragioni non verrà ricordato, che recita: "Credo di essere morto".

Il successo de "La maledizione della prima luna", dopotutto, risiedeva proprio in una trama semplice, lineare, equamente divisa tra azione e divertimento e piena di battute alquanto spassose. Già nel secondo episodio, il divertimento era fortemente penalizzato, a causa dell'interminabile durata della pellicola. Ma ne "Ai confini del mondo", si è davvero raggiunto l'insostenibile: due ore e tre quarti di un piattume totale vanno oltre l'accettabilità. Potenzialmente parlando (e ci premuriamo di evidenziare quel "potenzialmente"), c'erano anche le carte per poter toccare temi profondi (v. viaggio nell'Aldilà). Giustamente al regista e agli sceneggiatori non è neanche saltato in mente di tentare qualsivoglia rimando metaforico (e ci mancherebbe altro: questo è "Pirati dei Caraibi", non Lynch), ma chiedere perlomeno di non annoiare, sembra più che lecito.

E' quindi doveroso sottolineare che in questo "Ai confini del mondo" i momenti divertenti si contano sì e no sulla dita di una mano. Forse l'unico vero momento di autentica verve è circoscrivibile al rocambolesco duello finale in cui, effettivamente, qualche trovata brillante è rintracciabile. Ma in fin dei conti, ci pare davvero pochissimo per una pellicola di quasi tre ore e che, ragion ben più importante, disponeva di un budget che superava i 200 milioni di dollari.
Oltretutto, se la sceneggiatura non brilla per originalità, Verbinski fa davvero poco per migliorare il quadro d'insieme: mai un guizzo, mai niente che ci possa far lontanamente pensare che il buon Gore sia un regista veramente valido. Ma del resto, quando si hanno sulla coscienza milioni di dollari, si pensa bene di cercare di assecondare solamente il pubblico (cosa che peraltro, per quanto ci riguarda, non avviene). Proseguendo poi nell'analisi del lavoro del direttore, si può sostenere che egli lasci fondamentalmente carta bianca al formidabile duo Depp/Rush. I due, in un autentico duello di bravura e classe, si rubano più volte la scena e contribuiscono solo in parte a risollevare le sorti del film. Eh già, perché, se da un lato abbiano questi due strepitosi interpreti, dall'altra abbiamo un ridicolo Bloom ed una pessima Knightley, che appesantiscono oltremodo la trama. Infatti, oltre alle interpretazioni a dir poco risibili dei due, bisogna sottolineare che i personaggi stessi risultano ai limiti della sostenibilità: le due figure straripano di cliché, le battute recitate dalla Knightley sono tutte "fatte", la caratterizzazione degli stessi è ridicola.

Da annotare, in conclusione, la colonna sonora del noto Hans Zimmer ("Il codice da Vinci"). Sebbene anche le musiche, talvolta, siano forse un po' eccessive, non si può di certo negare la validità della composizione di Zimmer. Di sicuro, non siamo di fronte ad Ennio Morricone; tuttavia in una pellicola sostanzialmente priva di spunti di interesse, evidenziare l'operato del tedesco non è assolutamente fuori luogo.

Con "Pirati dei Caraibi - Ai confini del mondo" ci (ri)troviamo quindi di fronte a un prodotto votato solo alla spettacolarizzazione visiva; una pellicola tecnicamente ineccepibile, ma con gravissime lacune sia di sceneggiatura che di strutturazione. Non dimentichiamoci infatti che questo terzo capitolo non è tanto un capitolo conclusivo, quanto piuttosto la seconda parte (o il secondo tempo) di un film già iniziato e totalmente tagliato di epilogo, che corrisponde al titolo de "La maledizione del forziere fantasma". Sconsigliando la lettura di questo passo a chi il film ancora non l'ha visto, ci sentiamo in dovere di ricordare che anche in questo capitolo (che in teoria dovrebbe essere conclusivo), la pellicola non ha tanto un finale, quanto piuttosto una "troncatura"; in effetti l'epilogo non è definibile "aperto": tale conclusione è piuttosto tipica dei telefilm o dei cartoni animati. Da quello che noi sappiamo, il cinema e la tv sono due cose diverse, ma a quanto pare Bruckheimer non è di tale avviso.

Prepariamoci quindi a nuovi episodi.

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Recensione a cura di Harpo - aggiornata al 05/06/2007

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