Dal racconto di André Devigny: nel 1943 un componente della Resistenza, rinchiuso nel forte di Montluc di Lione, riesce a evadere con un giovane prigioniero comune.
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Molto simile a "Il buco" di Becker, gli è secondo me inferiore. Lo straordinario realismo che si respira nel successivo film di Becker è presente anche qui, ma più nelle riprese che nella trama vera e propria: infatti il carcere sembra un po' troppo abbandonato a sé stesso e la fuga troppo semplice.
Altro punto a sfavore, l'ho trovato molto didascalico a scapito del coinvolgimento emotivo; mentre infatti ne "Il buco" pare di essere nella cella insieme ai detenuti, la visione di "Un condannato a morte è fuggito" è invece più fredda e distaccata.
Se però devo valutare il film in sé senza paragoni con altre pellicole, ne viene fuori sicuramente un interessante prodotto del neorealismo, che merita assolutamente almeno una visione.
Forse avevo aspettative troppo grosse che in parte sono state disattese, ma mi ha lasciato un po' con l'amaro in bocca pur reputandolo un bel film.