Mabel, sposata all'italoamericano Nick, con tre figli, sente crescere il conflitto con la realtà che la circonda soprattutto nei rapporti con il marito il cui lavoro lo tiene spesso lontano da casa e che gli impone ritmi tali da renderlo a sua volta spesso nervoso e intrattabile. Dopo l'ennesimo litigio, Mabel subisce un crollo nervoso in seguito al quale deve trascorrere un periodo in clinica.
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Una cinepresa un regista, un paio di straordinari attori ma soprattutto tanta tanta verità della vicenda narrata come raramente capita in un film. A dir poco impressionante che ti buca il cuore di sentimenti e tragedie umane.
Per recuperare un'altra straordinaria interpretazione di Gena Rowlands consiglierei la visione dell'ottimo western LONELY ARE THE BRAVE di David Miller.
E' vero il bacio di Nick, ed è vero il ceffone; sono veri i ciuffi negligenti di Mabel, e sono vere le raffinate piccole onde di capelli ai lati; è vero il giocare allegro dei bambini, ed è vero il loro aggrapparsi ostinato ai vestiti della mamma esausta. C' è tanta vera vita in questa storia sconfinata, non si può passarle al fianco.
Il diario di una casalinga depressa: non molto, si potrebbe pensare. Ed invece è molto. Molto nell'indagine dei rapporti umani. Molto nell'affresco sociologico. Molto nel racconto di una quotidianità opprimente e di una diversità altrettanto difficile con cui convivere. A noi è dato di scegliere da quale lato osservare la vicenda. Scegliere tra normalità e diversità. Tra la madre preoccupata o la donna folle. Se quello che vedremo sarà sì o no un lieto fine. E sono certo che ognuno di noi, fuori dallo schermo, una Mabel l'ha vista. L'ha vista nello sguardo assorto di una signora che si profonda in un prodotto di supermercato. L'ha vista in un bar rimorchiare uno sconosciuto senza nemmeno rendersene conto. Ha scorto il volto triste di una passeggera dietro il finestrino di un'auto: Chi era quella donna? A cosa mai pensava? Era forse Mabel, in ritorno dalla clinica psichiatrica. Ecco dunque le tavolate allegre di Cassavetes, già viste in quell'altro splendido film che è "Mariti": tesissime, cariche di tensione e isterismo, pronte a esplodere da un momento all'altro. Ecco una madre circondata dai suoi bambini in atto di proteggersi a vicenda. Ecco le stanze evacuate dagli affetti, ora empie del vuoto: e non di quello eterno tanto caro ad altri artisti; ma del vuoto di ogni giorno, casalingo e che s'instaura tra gli spigoli dei mobili, come la polvere, davanti alla TV, dietro la lavatrice. Ecco una moglie, una madre, una donna: Mabel, che splende soltanto di luce riflessa. Ecco Cassavetes, col suo cinema tra famigliari e amici, col suo teatro coerente di verità, sensibile e attento, convinto della spontaneità che sta dentro alla recitazione. Ecco, infine, un vero film in 3D; non facce appiattite contro a uno schermo, non fogli moventi che ci scorrono davanti; ma dimensioni penetrabili, profonde, vivibili in tutto il loro spessore.
La moglie Gena è bravissima; l'amico Peter è bravissimo; non so cos'altro dire...
Sono in difficoltà. Commentare 'A WOMAN UNDER THE INFLUENCE' è arduo,si corre il rischio di rendere convenzionali i suoi contenuti . Non mi va di andare ad attribuire particolari significati ideologici o sociali, non mi va di parlare di società americana,matriarcato,femminismo, psicologia o quant'altro.
Gena Rowlands formidabile ed irraggiungibile. Un solo aggettivo,indimenticabile.
Certe volte è veramente pericoloso cercare di commentare un film. Se si racconta la storia non si ha granché da raccontare; se si cercano paroloni e significati nascosti o non si finisce più di scrivere o si scrivono sciocchezze. Dare un giudizio è imbarazzante e tergiversare (come sto facendo io ora per la paura di addentrarmi in un'opera troppo grande per me) è inconcludente. Siamo di fronte ad un cinema d'arte e non d'intrattenimento, intanto. All'interno della categoria 'cinema d'arte' intendo considerare quegli autori che hanno voluto esprimersi liberamente senza pensare al botteghino o al solo gradimento del pubblico (sebbene tante volte l'opera d'arte nasca dalla commissione, dall'occasione e dai vincoli imposti ad un artista). Cassavetes è rappresentante eminente quant'altri mai del cinema d'arte; un autore (nel vero senso della parola) fra i più grandi del novecento. I suoi film si possono accettare o rifiutare, ma non possono lasciare indifferenti, non possono non sollecitare la discussione, e non interpellare la sensibilità di ognuno. E' quanto basta per essere autore importante al pari di Bergman, Kurosawa, Fellini, Chaplin, De Sica o chi volete voi... In questo film si rappresenta la vicenda di una moglie che sta attraversando un periodo di forte esaurimento, schiacciata da una piccola società nella quale non riesce a trovare, evidentemente, una collocazione. La donna dà segni di squilibrio, comincia a comportarsi in modo eccessivamente stravagante e pericoloso per sé e per gli altri. Il marito, spesso assente, interviene e la fa internare. Dopo sei mesi la donna torna per riprendere, non senza ombre o problemi, la propria esistenza borghese. Detto così sembra una storia come tante: una storia di disadattamento sociale, una storia nella quale è molto forte il tema della libertà individuale e della possibilità di essere se stessi anziché dover aderire a cliché comunemente accettati; la storia dello scontro fra l'ipocrisia borghese e un modo di vita anticonformista; la storia di una frustrazione domestica; la storia di una malattia e delle miserie quotidiane che chi convive con certe situazioni deve attraversare. La storia del rapporto di una madre con i propri figli, e di un amore che porta alla follia: la paura di perderli, la paura di non farli sentire amati sufficientemente... La storia, infine, di un rapporto ormai logoro e grigio, di un'esistenza ai limiti della sopportazione (limiti duramente messi alla prova dalle piccolezze quotidiane). Infatti in questo film nulla di sconvolgente succede alla donna, e forse è questo che la sconvolge. Il suo uomo non la maltratta, i suoi figli non la fanno impazzire; non è in miseria, non vive in una comunità di mostri o alienati. E', invece, circondata dall'affetto di molte persone, dalla premura di amici e familiari. Nonostante questa routine più che accettabile, la donna si sente inadeguata, ha bisogno di altro, ha sete di una vita che non le appartiene. La donna vuole essere diversa, vuole essere chi non è. Forse, potremmo dire oggi, ha visto troppa televisione e si è fatta rimbambire da una realtà virtuale che non si incontra nella vita. Forse i suoi doveri di moglie e di madre l'hanno sopraffatta. Forse non ama più la sua famiglia e vorrebbe scappare. La donna vive la vita di un'altra persona che non ama e dalla quale vuole prendere le distanze. Perché? Quante donne/uomini così ci sono nelle nostre case, nelle nostre città? Perché non accettano la propria esistenza? Quanti modi ci sono per manifestare questo tipo di disagio? La accettiamo noi, anche se non balliamo sui tavoli, non straparliamo e non dimostriamo pazzie? Che maschere mettiamo ogni giorno? Come ci vedono gli altri?... Questa donna riprende la propria esistenza pronta per rifare il carico delle frustrazioni che la porteranno ancora alla follia. Quasi come se niente fosse, si chiede da dove poi avrà cominciato a sentirsi strana; chissà... cose che capitano... Si potrebbe continuare all'infinito col ragionare di questo capolavoro. Infatti, come sosteneva Renoir, non è la storia in sé che deve essere interessante, ma il modo di raccontarla. E qui viene raccontata attraverso due interpreti geniali. Io, vedendolo, ho pianto. Non mi capitava (di fronte ad un film) da tanto. Ma non era la commozione che si prova vedendo 'La vita è meravigliosa'. Era la commozione che si prova quando si è di fronte alla Verità, alla Realtà così come è e come tutti la conosciamo. Questo film è 'vero come la verità'. Morandini dice 'Gena Rowlands e Peter Falck fuori dal comune'; già, è difficile vedere recitare in questo modo. Non è vero che i film di Cassavetes non avessero copione e fossero improvvisati. Lo stesso Falck, interrogato su questo, ebbe a dire 'E chi mai potrebbe improvvisare dialoghi così maledettamente buoni?' Infatti solo parte di 'Ombre' venne improvvisato, le altre opere cinematografiche di Cassavetes sono state scritte e sceneggiate dallo stesso autore spesso coadiuvato da colleghi sceneggiatori. 'Una moglie' è un film scritto e diretto da John Cassavetes (per continuare uno scambio di battute a distanza con un caro e sensibile interlocutore), un altro dei Poeti del cinema.
Ma guarda un pò cosa ci combina quel genio di Cassavetes! Un'opera completa ancora una volta. Anche qui, il regista si affida ad un tipo di regia molto particolare che va a tradursi in immagini documentaristiche e realistiche. Gli attori imrpovvisano ed è un piacere immenso vedere recitare i grandi Peter Falk e Gena Rowlands che sono i protagonisti di questo film e gridano, parlano, si abbracciano, si picchiano, si amano, piangono, ridono... tutto come se stesse davvero accadendo lì...sulla scena. Interpretazioni mirabili e da far sverminare i piccoli e meschini attori holliwoodiani. La storia tratta, come per "volti", il rapporto di un uomo e una donna, le loro frustrazioni, i loro desideri. Lei è espansiva, ama la vita, ama le persone e forse è un pò matta...o almeno strana, Nick invece è un italoamericano che lavora in cantiere assieme ad altri italoamericani e afroamericani, ha un carattere molto suscettibile a causa del lavoro intenso che è costretto a fare per portare il pane a casa. Il punto focale è l'improvvisa pazzia di Mabel, sua moglie, che non identificandosi nel mondo che la circonda, con gente ipocrita che non ammette stranezze e gesti fuori posto come un abbraccio o un sorriso senza motivo, con un marito nervoso e sempre assente, con tre figli da crescere...non rispecchiandosi nella dura realtà della vita, finisce per costruirsi una sorta di guscio protettivo e si chiude nella sua pazzia alterata. Nick sarà costretto a portarla alla neuro e ne uscirà solo dopo sei mesi. Immagini intense tolgono il fiato. Il film è lento ma di una lentezza godibile e che, strano a dirsi, ti inchioda dall'inizio alla fine. Il rapporto difficile tra un genitore e i figli, la denuncia sociale ad una società che mette in un angolino gli italoamericani, afroamericani e tutte le razze emigrate povere e stereotipizzate, il difficile confronto con l'altrui comprensibilità. Un gran film, degno del regista americano.