Il Libanese, il Freddo, il Dandi, sono i capi della banda della Magliana, che per 15 anni ha sparso il terrore in Italia. Durante questo periodo, attraverso tutte le vicende italiane come il terrorismo degli anni '80 e Mani Pulite, il commissario Scialoja si mette alla caccia della banda.
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“Romanzo criminale” narrativamente scorre, ha una struttura piuttosto solida, senza "buchi", cosa rara per il cinema nostrano di questi tempi. Ma in fondo questo film non è molto diverso dalla solita solfa italiana del nuovo cinema "impegnato" d'autore. “Romanzo criminale” è un altro di quei film velleitari che vorrebbe essere ma non è: 1. cinema d'impegno politico e sociale sul solco della lunga e gloriosa (nonché tramontata) tradizione cinematografica italiana (da Germi a Petri, Rosi, ecc.); 2. poliziesco anni '70 (ovvero il cinema di genere, ormai ex-serie B); 3. cinema d'azione/gangster che ammicca a quello americano di Scorsese, Coppola, De Palma, Tarantino, ecc. Ma il risultato è che il film non è all'altezza di nessuno di questi ambiziosi riferimenti. Sembra di ripetere le stesse cose da sempre, ma non se ne può fare a meno: gli attori son quelli che sono e i modi di raccontare e riprendere le storie oggi in Italia perpetuano una cattiva abitudine: il sovraccarico (pseudo)autoriale della narrazione: l’autore sempre presente a dire la sua su ogni minimo risvolto, a imboccare lo spettatore come se questo fosse irrimediabilmente stupido, incapace di essere “autosufficiente”. Fatto che denota forte presunzione autoriale e intrinseca debolezza congenita dell’assunto ideologico da veicolare. L’asciuttezza è una dote che qui appare molto lontana, sovrastata dalla retorica onnipresente dell’autore che rende passiva la parte, la funzione/fruizione dello spettatore. Praticamente è quanto avviene con la fiction televisiva.
E poi… la regia, da esordiente senza fantasia! Un esempio eclatante: Jasmine Trinca si ferma a prendere il caffè accanto ad Antonello Fassari il quale verosimilmente sta per combinarle qualcosa di molesto (abbiamo già intuito precedentemente gli intenti vendicativi di costui…). Se mi mostri Fassari che va via e subito dopo JT che si avvia verso l'auto (inq. dall'interno della Renault 4 rossa) capisco immediatamente che la bella sta per saltare in aria non appena avrà girato la chiave nel cruscotto: scena telefonatissima, effetto sorpresa eliminato, crudeltà criminale trasformata in banale e prevedibile stereotipo televisivo.
Un'altra cattiva abitudine del nuovo cinema “alto” italiano (Giordana, Bellocchio) è quella di rifarsi alla storia recente utilizzando materiale audiovisivo originale per “dialogare sopra” gli eventi… con notevole manipolazione ideologica e imposizione della propria visione sugli stessi e sulla Storia. Anche Clooney – tanto per fare un esempio recente di cinema “civile” e impegnato - ha utilizzato immagini reali, di repertorio, ma ha lasciato che queste interagissero col film di finzione, senza appesantirle con la retorica del giudizio storico costantemente “suggerito” dall’autore. Eppure il film di Clooney era altrettanto ideologicamente schierato. Sta allo spettatore trarre le conclusioni sulla Storia (attraverso un procedimento logico soggettivo che interessa e tocca, a chi più a chi meno, le coscienze ideologiche, le conoscenze storiche e culturali, le sensibilità di ognuno); ma in Italia questa pratica sembra non essere ancora stata recepita: ogni autore si sente investito dell’aura dell’assolutezza e il suo giudizio dev’essere percepito come definitivo.
Ma vogliamo parlare degli attori? Le facce dei protagonisti principali sono assolutamente improponibili per una storia così precisamente contestualizzata nel tempo e nello spazio come quella a cui RC s'ispira. Kim Rossi Stuart che fa il criminale borgataro anni ‘70/’80 con quell’espressione e quel portamento da *****tto pariolino?! Ma per piacere! Pierfrancesco Favino che recita così palesemente la parte del boss coatto borgataro e sciancato (oltre che “maledetto”) sembra la caricatura stessa del suo personaggio: provate a rivedere la scena in cui esce dal bar/bisca e s’incammina nel vicolo buio (seguito in carrellata avanzante dalla mdp, di spalle mentre si allontana) col suo abito e l’andatura/postura coatti! Più che l’interpretazione realistica di un delinquente anni ’80 di certa origine socio-culturale e ambientale, il suo è un ridicolo scimmiottamento di un’ideale (banale e stereotipato) di quel personaggio… Due giorni dopo la visione di RC, ho visto uno dei tanti polizziotteschi anni ’70 (credo si trattasse di “Roma violenta” o qualcosa di simile) che quel mondo delinquanziale aveva per oggetto: al confronto RC era il vero film di serie Z!!!!