Il Libanese, il Freddo, il Dandi, sono i capi della banda della Magliana, che per 15 anni ha sparso il terrore in Italia. Durante questo periodo, attraverso tutte le vicende italiane come il terrorismo degli anni '80 e Mani Pulite, il commissario Scialoja si mette alla caccia della banda.
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Due film in uno, perfettamente riuscito il primo, decisamente meno il secondo. Da una parte un ottimo noir (8,5), già l'aver rotto la dicotomia 'film italiano-psicodramma familiare' è lodevole), ben scritto, ben girato e splendidamente interpretato (tranne alcuni secondari punti deboli); dall'altra il tentativo di dare traccia di un periodo oscuro della storia italiana, a partire da un libro piuttosto complesso, in maniera un po' goffa e confusa (6).
Spinto probabilmente da un moto di disgusto per Ovunque sei e di nostalgia per il commissario Cattani, Placido deve essersi chiuso in casa con una pila di videocassette di Scorsese e Di Leo (e forse anche Kitano e Coppola), qualche buon libro (oltre a quello di De Cataldo il già citato Scerbanenco) e un paio di amici che sanno scrivere (Rulli e Petraglia), ha fatto l'appello dei giovani attori più bravi in circolazione e ha iniziato a frugare nel cappello alla ricerca di un coniglio che rinverdisse antichi e criminali fasti.
E bisogna dire che è venuta molto bene la storia di questi goodfellas de no'antri, in una roma pasoliniana, livida e perfeddamente fotografata, tentacolare ma desolata, crocevia di sangue e lotte intestine. Su questo sfondo opaco risalta un affresco di personaggi, più o meno caratterizzati (grazie anche ai molti dialoghi serrati in dialetto) ma quasi tutti perfettamente integrati nella sceneggiatura, a partire dai protagonisti, le 3 anime che dettano la suddivisione in capitoli del film, a seguire l'evoluzione della banda, dall'ascesa al declino. Spettacolare la prova degli attori, da Savino a Rossi Stuart (ne è passato di tempo dal kimono d'oro) a Santamaria (già fico nello splendido 'il posto dell'anima' ma qui deppiù) a tutti i comprimari (anche il figlio di Venditti sembrava incredibilmente meno ebete); l'unico punto debole, anche di sceneggiatura, è il commissario De Gennar... ehm... Scialoja..., affidato ad un poco credibile maxibon Accorsi (a sto punto metteteci bova, almeno ha più presenza scenica), ed ancor meno credibile la sua sgangherata relazione con la pseudo-virago patrizia che da mangiatrice di uomini finisce per arrendersi, apparentemente senza motivo, di fronte al personaggio con meno appeal di tutto il film, patata compreso. Nonostante questo il film scorre denso e senza buchi, senza che se ne avverta la lunghezza, Placido lo conduce senza problemi e in alcune scene (trinità dei monti, esecuzione di gemito) riesce a dare il meglio di sè.
---La parte che segue è noiosa e abbozzata ma un discorso organico stenderebbe anche un cavallo ;-), potete saltarla a piè pari e passare all'happy ending
Come detto in apertura però la nota dolente è la contestualizzazione. Alcuni hanno criticato il film per eccessiva dietrologia (Abbatino ne ha chiesto il ritiro), altri perché indulgente, dal punto di vista storico, con i componenti della banda, altri ancora (Silvestri), politicizzandolo allo stremo, l'hanno definito 'almirantiano' (?!?). A mio giudizio la pecca principale è semplicemente un mix di superficialità e confusione; non che mi aspettassi di vedere gigione Lucarelli a spiegare il perché e il percome degli anni di piombo (ma questa è un'altra storia) ma sicuramente tante cose potevano essere gestite meglio. L'inserimento di filmati d'archivio, a dare un taglio pseudo-documentaristico, perde di significato se non supportato da un minimo di spiegazione; la versione su Bologna va in direzione opposta da quanto concluso dal processo e non so chi possa aver collegato le immagini dell'attentato al papa ai legami (presunti) della banda al crac della IOR e all'ambrosiano. A questo proposito Placido aveva già dato il meglio di sè in 'Un eroe borghese', eventualmente guardate quello. Idem con patate per le collusioni con stato, ideologie e servizi segreti, liquidati con un testo di Evola che spunta dalla borsa del Nero ed una infelice battuta sui muratori; anche le figure di tognazzi (pur bravo) e del funzionario sono solo abbozzate e lontane dallo spessore di Hoederer e delle sue 'mani sporche, tuffate nel sangue e nella mer.da'. Ma d'altronde Placido non è Sartre e siamo al cinema e non a teatro.
---Fine parte pallosa
Pur con queste precisazioni (fatte più per amore di polemica che altro) rimane comunque un ottimo film italiano, coraggioso e fortunatamente ripagato dal pubblico (nonostante non sia andato a Venezia) ed era da quasi un anno (Fame Chimica e Dopo Mezzanotte) che non se ne vedevano.