professione: reporter regia di Michelangelo Antonioni Italia, Francia, Spagna 1974
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professione: reporter (1974)

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locandina del film PROFESSIONE: REPORTER

Titolo Originale: PROFESSIONE: REPORTER

RegiaMichelangelo Antonioni

InterpretiJack Nicholson, Maria Schneider, Jenny Rinacre, Ian Hendry

Durata: h 2.05
NazionalitàItalia, Francia, Spagna 1974
Generedrammatico
Al cinema nel Marzo 1974

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Trama del film Professione: reporter

David Locke, famoso reporter lanciatissimo nella professione ma ormai sazio e annoiato dalla vita, scopre un giorno l'opportunità di ricominciare tutto daccapo. Rinvenuto il cadavere di un uomo che gli somiglia, inscena una finta morte, assumendo la personalità del defunto. Il defunto era un trafficante d'armi che riforniva il movimento di ribellione a un piccolo dittatore africano...

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Voto Visitatori:   8,24 / 10 (35 voti)8,24Grafico
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Voti e commenti su Professione: reporter, 35 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

-Uskebasi-  @  07/09/2010 14:56:11
   8½ / 10
Antonioni, un uomo che poteva fare un film con la sceneggiatura di 2 righe. E' la sua terza opera che vedo e sempre di più mi rendo conto della grandezza di questo regista. Giudicare un film di Antonioni è in realtà giudicare lui, la vicenda passa sempre in secondo piano sovrastata dalla sua mano inconfondibile. La cura dei particolari, delle inquadrature (fotografia strepitosa) e del ritmo, il ritmo quasi a tempo reale che solo i grandi possono fare senza annoiare. Meriterebbe sempre 10 ma devo cercare di giudicare ill film per tutti gli aspetti, sotto l'8.5 però non so andare neanche qui.
Non ho veramente parole per il piano-sequenza finale dell'albergo, mi vengono i brividi a pensarci.
Impossibile trovare un aggettivo che lo descriva meglio di "Maestro", semplicemente Il Maestro...

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Ultima risposta 07/09/2010 14.59.05
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Invia una mail all'autore del commento wega  @  12/07/2009 17:22:05
   8 / 10
Interessante questa mia prima vera esperienza Michelangelo Antonioni. Non conosco minimamente le tematiche di questo regista, sempre molto utili se non essenziali nell' inquadrare correttamente un film quando si parla di Cinema d' autore. "Professione: reporter" è la storia di un desiderio di cambiare la propria vita, e mi è sembrato comunque un' opera a cavallo tra il reale e l' irreale. La verità di un reportage e la ricostruzione del documentarista, lasciare un' identità "reale" per prenderne una che non è la propria. Come recita Nicholson nel finale circa la storia del cieco, Locke è un uomo che ha voluto vedere la vita con degli altri occhi, ma che ha realizzato che era meglio vederla con gli occhi di un fotoreporter, mestiere con cui la realtà la si può anche ricostruire a proprio piacimento. Il film è tecnicamente eccelso, non so spiegarmi il perché ma, anche se costruito completamente su lunghissimi piani-sequenza, le inquadrature di Antonioni hanno veramente qualcosa di diverso. Bellissima la fotografia, e agghiacciante il video dell' esecuzione, tanto "vero" da sembrare "irreale" vederlo. Scontato dirlo ma grandioso il piano-sequenza finale. La Schneider è strabona.

2 risposte al commento
Ultima risposta 13/07/2009 19.08.09
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Guy Picciotto  @  13/12/2007 11:24:11
   10 / 10
è secondo me il punto più alto della poetica di Antonioni, il suo approdo definitivo, oltre il quale non ci si poteva più buttare, ed infatti il cinema che contava di Antonioni si è fermato li. Estromettere il soggetto come ultima possibilità dell'ndividuo di ricostruirsi una nuova vita, ma viene stanato lo stesso non tanto dal sociale ma dal suo doppio che riemerge, Antonioni non spiega in effetti quell'ultima scena col cadavere di Nicholson riverso sul letto. Costruirsi una nuova identità per Antonioni non basta, è sopratutto l'uguale che bisogna contraffare e disintegrare, implicandone la dissomiglianza, nella dissomiglianza il doppio artaudiano non basta più, diventa solo un equivoco, votato all'auto(distruzione). L'idea rimane comunque grandiosa, farla finita con l'identità, col proprio D(io), ovvero la cosa che rende l'uomo uno schiavo e non un individuo libero, da se stesso prima di tutto, e dalla società di conseguenza. Ecco dove voleva andare a parare Antonioni, l’identità è qualcosa di cui sbarazzarsi, liberarsi, l'identità è intrattenimento dell’essere con se stesso, questo nella filosofia da Parmenide fino all 800, menomale non è così per Jung perché per lui l’identità è MERA FINZIONE, psicologicamente spiegabile si ma non giustificabile logicamente, per gli esistenzialisti e gli avanguardisti del 900 l’identità è VARIAZIONE CONTINUA NEL DIVENIRE, mi spiego? nei mistici invece c’è lo smarrimento, c’è l’estasi, la perdità proprio di qualunque identità, regalatela davvero l’identità, regalatela, io parlo chiaramente alla gente più giovane che di solito fa male a lasciarsi strumentalizzare da questi DOCENTI INDECENTI o pseudo filosofi o paratali, sono dei fax-simili guasti proprio, sono dereliti direbbe Cioran dell’artigianato di Dio.

1 risposta al commento
Ultima risposta 04/11/2008 13.26.54
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Gruppo COLLABORATORI Terry Malloy  @  12/09/2007 14:27:48
   8½ / 10
Ostico, ma meraviglioso.
Non è il mio preferito del Maestro (lo è Blow Up), ma rimane uno grandissimo esempio di Cinema.
Cinema che trae forza dal naturalismo (un'autentica galleria di paesaggi, quadri, culture e mondi) tipico del gusto estetico del regista per tratteggiare l'Essere Umano nel rapporto con il suo lavoro. il rapporto del soggetto con la sua professione è un'ovvietà? domanda retorica, ma necessaria. il lavoro è un'entità che plasma la nostra vita e per vita non intendo "tempo che passa", ma relazioni coniugali ed extra, amicizie, individualità, figli, soldi. quando poi il nostro lavoro è il reporter la strada prende una via molto esclusiva. il reporter predica una vita che non fa: predica Verità, ma lui non ne è partecipe, predica Storia, ma lui ne è solo un osservatore attento...insomma una vita passata a guardare da una vetrina. David Locke sfonda questa vetrina, anzi cerca di sfondarla lasciandosi tutto dietro e prendendo una nuova identità. lascia Passato e Futuro in mano a un ipotetico destino, queste due entità sono parallele alla sua vita, non sono presenze centrali che man mano non vediamo più, ma ci seguono sempre nel viaggio anche se cerchiamo di fuggirle.
alla fine ci avviciniamo dolcemente e quasi senza accorgecene (ma volendolo: "che ***** ci fai tu qui con me?" risponde David alla Schneider) a un nuovo destino che di nuovo ha in verità ben poco: è nuovo morire? è nuovo dunque morire su di un letto? d'infarto? mi sembra una sorte uguale a quella di Robertson per Locke. si scappa da ogni cosa e la Morte intesa quasi come alleviatrice dell'indolenza umana (quasi voluta quindi) ci irretisce (sequenza finale) dietro a sbarre dove al di là la Vita continua e con essa la Storia.

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Ultima risposta 13/09/2007 19.43.08
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento Giordano Biagio  @  10/08/2005 11:14:11
   9 / 10
David Locke giornalista televisivo anglo-americano è inviato in africa settentrionale per trasmettere al suo paese informazioni su una delle numerose guerriglie politiche che infiammano il Sahara. Nel’Hotel dove alloggia conosce e fa amicizia con David Robertson commerciante d’armi.
Durante una notte afosa Robertson, malato di cuore, muore improvvisamente di infarto rimanendo a lungo riverso nel suo letto. Locke si accorge per primo del cadavere e approfittando di una certa somiglianza con l’amico ne assume l’identità. Falsifica quindi con efficacia tutti i documenti di riconoscimento.
Il film per i media può sembrare datato ma per la psicanalisi no. Antonioni comunica emozioni di tipo introspettivo articolando anche pulsioni di morte legate a questioni esistenziali enigmatiche. Problemi storicamente riconoscibili. Oggi questa pellicola sarebbe destinata ad un insuccesso di pubblico e forse anche a un disinteresse del punto di vista della critica cinematografica. Non è infatti un film che nella sua sceneggiatura mostri preoccupazioni “spettacolari”. Inoltre non coltiva emozioni da suspense o da sensualità intricata. Il disagio però è ben precisato e si situa tra le righe di una scrittura ordinaria del quotidiano. La donna nel film è ben presente ma rimane un oggetto desessualizzato probabilmente per favorire la messa a fuoco del disagio identitario. Senz’altro questa pellicola verrà riproposta nei cinema d’“essai” e nella televisione in seconda serata perché è stato riconosciuta a suo tempo come un capolavoro, un “giallo che si porta addosso un mistero” (Morandini). Buona è la sua capacità comunicativa “altra”: quella più legata ai paradossi del dominio dell’inconscio sull’“io”. Poco può dire in un film di questo genere la chiarezza convenzionale dominata dalla coscienza critica.
L’arte cinematografica è anche un calarsi ingenuo nel linguaggio inconscio. Alcune questioni interiori, presenti nei personaggi dell’epoca in cui si svolge il film, vengono portate alla luce con un paziente lavoro di ricostruzione delle pagine storiche che racchiudono la vicenda. Uno sfondo che rimane fedele alle apparenze di un’epoca ma mostra i punti oscuri, invisibili del lavoro della morte. Ne scaturisce l’individuazione di una caduta del senso positivo per la vita e della professionalità del protagonista a vantaggio dell’emergere di pulsioni di morte oniriche che non rinunciano al gioco di identificazioni con figure fantasmatiche. Gioco che crea nuovi desideri. Desideri veri ma privi di un oggetto reale, destinati quindi alla delusione e poi alla tragedia. Passando da giornalista a venditore di armi Locke sperimenta l’ebbrezza di essere un altro per l’altro. In un certo senso il suo inconscio ha già scelto il delirio e la morte come estreme risorse di piacere a dispetto di una razionalità che non riesce più a dare soddisfazioni.
Penso che abbia senso oggi riproporre queste brevi riflessioni sul film, forse perché si può intendere meglio a distanza di tempo anche qualcosa del cambiamento culturale e sociale avvenuto dal 1975 ai giorni nostri. In particolare si precisa qualcosa che riguarda le linee di frattura generazionale sia nel costume professionale che politico del post ’68. Ciò è evidente nelle suture avvenute lungo la lacerazione di un malessere creato dal crollo delle ideologie del ‘68. Effetti che portano al ritorno nel privato personale. Il film mette in rilievo il fallimento di una identità unidirezionale nel sociale utopico basata sulla famiglia, il progresso sociale, la soddisfazione professionale. Temi che caratterizzavano gran parte dei progetti di vita degli anni ‘70.
Con la sua nuova identità che ha il sapore della trasgressione Locke vaga senza una meta precisa, abbandonandosi sullo sfondo di in una ambigua illusione al piacere della morte della sua vecchia identità troppo razionalizzata dai compromessi. Una nuova identità che viene vissuta come gioco del mistero esistenziale inconscio, come arte della sessualità sublimata: le cose si svolgono contro il destino reificato dell’Io fino a divenire morte reale. In una rinascita altra messa in gioco solo per pochi istanti: anche l’altrove, pensato come alterità priva di ansie, risulta “invivibile”. Lascia solo il tempo di intravedere l’abisso, segnato di storia, che affligge il suo Io. La coscienza del proprio passato cerca la via della soddisfazione. In questo caso la esige al prezzo della morte.
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Ultima risposta 11/09/2007 12.29.48
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