occhi di cristallo (2003)

Altra iniezione di fiducia al cinema italiano (quando parlo di cinema italiano mi riferisco a tutto ECCETTO a quella merd@ di produzione italiota rappresentata da Boldi&DeSica, Vanzina e porcherie del genere). Inizio a stancarmi, ma mi ritengo un osso duro. Almeno su questo campo.
Per quanto riguarda il film, minimamente pubblicizzato sia in tv, sia al cinema, sia a Venezia 61 – qualcuno si è accorto che c’era al festival??? – non propone nulla di nuovo. Una serie di cliché frullati assieme: la città fantasma e sporca come un immenso cassonetto, le scritte sui muri col sangue, il killer psicopatico pazzo, le vittime ultra-seviziate. Ma la regia ha uno strano fascino. Puglielli riesce utilizzare i suddetti cliché muovendoli in modo da cadere troppo poco spesso nel ridicolo. Le pretese d’autore sono troppe, le citazioni sono troppe (Seven, soprattutto), le riprese sui corpi spappolati sono troppe e troppo prese in considerazione: sapiente (e furba, furbissima!) tecnica per fare in modo che lo spettatore provi paura di vedere dello schifo. È una tecnica rodata e strausata dal maestro (?) Dario Argento.
Gran parte degli attori sono stranieri. Ma non sono bravi. Facevano meglio a sceglierne di italiani. Al peggio non c’è mai fine.
Interessanti, visivamente parlando, le scene nelle rampe delle scale dell’appartamento della ragazza e le scene dei ricordi del malato di tumore quando trascorreva l’infanzia all’orfanotrofio.
Si salva Lo Cascio, bravino.
Applaudo chi riesce a capire in quale città si svolge il film. La storia delle auto della polizia con la scritta “Police” non conta. Può essere Corsica, Francia, Inghilterra, Galles, Irlanda, Scozia…