Un percorso misterioso, dove la realtà si confonde con il mistero, il sogno, l’amore, la morte... Una macchina procede lentamente nella famosa Mulholland Drive con a bordo una bruna fatale. La donna non è sola, qualcuno le sta puntando addosso una pistola. Ma il destino è più veloce, dalla direzione opposta, spunta un bolide che travolge la vettura.
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Uno di quei film che indicano nuove strade all'arte cinematografica, una sperimentazione geniale ed eversiva che resterà nella storia, perchè porta a livelli di armonia stilistica e compiutezza espressiva insuperabili la destrutturazione dei canoni narrativi tradizionali, che per sua natura rischia spesso di cadere nella disarmonia e nella confusione gratuita (come del resto capiterà allo stesso Lynch nell'interessante ma eccessivo "INLAND EMPIRE"). Qui il cineasta americano sfiora la perfezione formale, sfoderando un tocco magico che coniuga una leggerezza incredibile nel rapido trapassare dall'umorismo più beffardo al dramma più cupo con un rigore geometrico assoluto, alla Kubrick, nell'uso della macchina da presa per creare tensione, rabbia, paura, tristezza, sensualità, dolore. Questa è una delle poche, pochissime opere in grado di creare emozioni pure, svincolate cioè dai rapporti causali di una narrazione canonica, mediante il solo utilizzo dei mezzi espressivi propri del cinema: della trama del film si capisce ben poco, almeno a una prima visione, e ciò nonostante Lynch coinvolge, angoscia, commuove. Il film rappresenta l'affascinante e vertiginoso intersecarsi di realtà e sogno nella vita di un'aspirante attrice incapace di far coincidere la soggettività dei suoi desideri con la crudele oggettività della realtà attorno a sè, ma possiamo ritrovarvi anche i temi del doppio, del Sogno Americano che è diventato un incubo, della corruzione nel mondo del cinema hollywoodiano (vi è una spietata critica allo strapotere mafioso delle case di produzione), e molto, moltissimo altro: il tutto condito con scelte registiche di forte impatto, dalle fantasmagoriche silhouettes bianche che, come incantevoli composizioni astratte, aprono e chiudono la pellicola (quasi un richiamo al mondo dei sogni o dell'aldilà), all'atmosfera angosciante del Winkie (archetipico non-luogo come tutti i bar americani, visti infinite volte in migliaia di film e ormai entrati nell'immaginario collettivo come pura presenza cinematografica), dall'emozionante gioco di sguardi tra Theroux e la Watts sul set del musical al sommovimento emotivo provocato dal rapido capovolgimento dei rapporti sentimentali tra i personaggi (e persino della loro psicologia costitutiva) verso la fine del film. D'impianto nettamente metacinematografico, "Mulholland Drive" è anche un'entusiasmante cavalcata cinefila attraverso tutti i classici generi hollywoodiani: il noir (rappresentato dal filone principale della trama) e la commedia umoristica (con qualche eco di Tarantino), il film sentimentale e il dramma psicologico, il musical (i provini per "Sylvia North Story") e il western (il personaggio del "cowboy"), il thriller e l'horror, ecc. Fatto salvo l'eccezionale livello di tutte le interpretazioni (la Watts su tutte), non si possono non citare le splendide musiche originali di Angelo Badalamenti, che concorrono almeno quanto il montaggio e la fotografia (di Peter Deming) a creare il clima ipnotico che emana dai fotogrammi di questo sconvolgente capolavoro.