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A prima vista "Midori" potrebbe risultare come prodotto creato con l'unico intento di shockare, con i suoi eccessi apparentemente gratuiti a punteggiare una storia tutt'altro che stratificata. In realtà torna un tema caro alla cultura giapponese e legato ad una sorta di feroce iniziazione in cui l'innocenza viene brutalizzata da una società spregevole e soverchiante. Sono quindi allegorici i ruoli dell'orfana di buon cuore a rappresentare la purezza e la bontà d'animo, e il circo dei freaks (chiaramente ispirato al capolavoro di Tod Browning) come brutale contraltare, espressione di una collettività "adulta" diseducativa e crudele. Harada, nemmeno fosse un grezzo antesignano di Satoshi Kon, trova linfa vitale in una sorta di limbo sospeso tra sogno e realtà, con un prestigiatore a fare da possibile tramite verso la felicità e relativo affrancamento da un presente intollerabile. Che questa scappatoia arrivi da un illusionista denota ancora una volta la piacevolezza della metafora messa in atto, come fosse una beffa del destino sulla quale la protagonista potrebbe infrangere ogni sogno d'emancipazione. Non mancano i riferimenti al folklore giapponese, mentre le sequenze splatter non impressionano più di tanto per via di un disegno volutamente semplicistico, poco particolareggiato, espressione di una bruttezza fisica ma soprattutto morale.