maps to the stars regia di David Cronenberg Canada, USA 2014
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maps to the stars (2014)

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locandina del film MAPS TO THE STARS

Titolo Originale: MAPS TO THE STARS

RegiaDavid Cronenberg

InterpretiJulianne Moore, Robert Pattinson, John Cusack, Mia Wasikowska, Olivia Williams, Evan Bird, Sarah Gadon, Carrie Fisher, Kiara Glasco, Justin Kelly, Emilia McCarthy, Jayne Heitmeyer

Durata: h 1.43
NazionalitàCanada, USA 2014
Generedrammatico
Al cinema nel Maggio 2014

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Trama del film Maps to the stars

Guidata dal padre Stafford (John Cusack), un psicoterapeuta celebre per i suoi libri di auto-aiuto, e dalla moglie Christina (Olivia Williams), prepotente madre manager, la famiglia Weiss ha fatto dell'ossessione per la celebrità il proprio marchio distintivo. Il tredicenne figlio Benjie (Evan Bird) è una star della tv ed è finito recentemente in riabilitazione per droga, mentre l'estraniata figlia Agatha (Mia Wasikowska) è appena uscita da un ospedale psichiatrico quando stringe amicizia con l'autista di limousine Jerome (Robert Pattinson), anch'egli aspirante attore. Una delle clienti celebri che frequentano lo studio di Stafford è Havana Segrand (Julianne Moore), un'attrice il cui sogno di riprendere il ruolo interpretato negli anni Sessanta dalla madre Clarice (Sarah Gadon), ormai morta, si sbriciola lentamente mentre fantasmi, morte e vizi prendono il sopravvento.

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Voti e commenti su Maps to the stars, 68 opinioni inserite

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topsecret  @  24/04/2016 16:13:11
   6½ / 10
Il Cronenberg eccessivamente visionario e criptico non sempre riesco a recepirlo, molto meglio quando libera il suo genio in maniera più "semplice" e meno astratta.
Nel caso del film in questione, il regista (e non solo) canadese riesce a mantenere un equilibrio convincente tra la violenza psicologica e la critica feroce nei confronti del jet-set hollywoodiano, mostrando una pluralità di sentimenti che hanno di fondo il cinismo e la crudeltà morale. Vizi e mancanze di celebrità vengono messe in luce con una certa forza e senza mezzi termini in una storia, a mio parere, ben interpretata e ben diretta, lineare nell'esporre fatti e sensazioni e scandita da un ritmo abbastanza sostenuto che non permette distrazioni o cali di sorta.
Un film forse più apprezzabile dai fans del vecchio David, ma certamente non apatico per gli altri.

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Ultima risposta 24/04/2016 20.19.25
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paride_86  @  07/06/2014 04:02:01
   5 / 10
Dopo il bellissimo "Cosmopolis" arriva la grande delusione di "Maps to the stars" che è un film di fantasmi che non fanno paura, di star hollywoodiane viziate e depravate, di personaggi con un passato che ritorna prepotentemente ma, soprattutto, è tutte queste cose insieme in un miscuglio eterogeneo che non decolla mai e il cui senso è difficilmente comprensibile.
Julianne Moore sulla tazza del cesso è il picco della pochezza raggiunto da Cronenberg e rappresenta quella scena che mai vorresti vedere, considerata soprattutto la grandezza dell'attrice in questione.

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Ultima risposta 09/06/2014 21.46.04
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR oh dae-soo  @  04/06/2014 16:03:45
   7½ / 10
presenti spoiler

Hollywood brucia si diceva una volta.
E qui in un certo senso brucia per davvero perchè il fuoco, l'incendio, è uno dei fil rouge che attraversa l'intero film.
Il fuoco di due incendi nel passato che hanno generato fantasmi veri o fittizi, il fuoco di un suicidio che liberi un mal di vivere e un senso di sconfitta che non ce la si fa più a nascondere, il fuoco metaforico di un sistema che si sta sgretolando.
Hollywood collassa, potrebbe anche dire Cronemberg.
Magari è capitato solo a me ma mentre guardavo questo capolavoro mancato del maestro canadese avevo delle sensazioni che mi rimandavano a un altro film.
Quale, mi chiedevo in sala, quale era.
Poi d'improvviso l'illuminazione, Inland Empire.
Ecco, avevo le sensazioni di Inland Empire ma decriptate, svelate, manifeste.
La stessa tensione, la stessa sensazione di qualcosa in agguato, la stessa atmosfera opprimente, uguale densità, uguale ferocia e pericolo nel vedere rappresentato questo cinema nel cinema, questo film che s'ha da fare dentro il film, questo film che si ricollega al passato, gli stessi fantasmi, quasi un horror sotto le luci dei riflettori, tutto uguale al film di Lynch ma con una facilità di comprensione, o più che facilità di comprensione- perchè Maps to the star è tutto fuorchè un film facile da analizzare- il poter comunque disporre di un intreccio facile, anche banalotto nel quale poter trovare molto più facilmente gli elementi per l'analisi.
Un Inland Empire per il pubblico insomma, non solo per sè stessi.
Dicevamo
Hollywood collassa

Una Hollywood dove ti droghi pesantemente a 10 anni, dove tutti fanno sesso con tutti, dove ci sono santoni guru buddhisti che poi picchiano selvaggiamente i propri figli, dove i soldi, le grandi case, le chevrolet e le piscine sono la patina sotto la quale le star vivono la propria vita infelice, dove tutto è ipocrisia, tutto, perchè il cinema stesso è ipocrisia, perchè anche quando rappresenta il vero lo fa ingannando con l'arte.
E chi lavora nel cinema l'ipocrisia la mangia a colazione servita da una colf.
E il pensiero non può che andare a PSH, o a HL, o a tutti quelli che chissà che provavano, chissà che sentivano mentre faticavano a sorridere davanti alle luci della ribalta.
Credo che in questo film ci siano cose meravigliose, scene superbe.
Cronemberg conosce lo star system e lo massacra letteralmente.
Tutti i rapporti sono basati sulla finzione, tutti poi, a casa, da soli, hanno scheletri nell'armadio.
O fantasmi, sì fantasmi invece che scheletri.
Come quello che vede Havana, il fantasma della madre, quella madre che la violentò e il cui successo passato come attrice la tormenta, quella madre nella quale malgrado tutto vuole identificarsi adesso, vuole interpretarla, così, quasi per sconfiggerla, sublimarla.
O i fantasmi che vede il piccolo e arrogante Benjie, uno che ha 10 anni aveva già tutta Hollywood ai suoi piedi, uno che a 13 ha già vissuto tutto (Culkin?) e conosce la vita meglio di tanti altri. Ecco, questo l'ho trovato il personaggio più straordinario perchè per quanto odioso più si va avanti più lo trovi intelligente, consapevole, lucido. Lui vede fantasmi di bambini morti, lui che praticamente lo è stato un bambino morto, e non solo perchè in passato rischiò di morire ma perchè bambino in realtà non lo è mai stato.
Fantasmi, fantasmi, fantasmi.
Ma tutto bene o male si regge in piedi, il castello di menzogne di Hollywood non crolla, anche perchè l'ipocrisia sta proprio nelle sue fondamenta.
Poi arriva lei, la ragazza ustionata, e tutto cambia.
Io credo che la figura di lei sia la figura esterna che entra nello star system portandoci dentro la vita vera.
E l'impatto di questa drammatica vita con il castello delle menzogne è devastante, tutto collasserà.
Ma prima...
Prima due parole su una fantastica Julianne Moore in un ruolo dal coraggio leonino, il ruolo di un'attrice frustrata e depressa che non riesce a cancellare i fantasmi del passato. Un ruolo che la vede parlare di sesso, fare sesso, defecare, drogarsi, di tutto. E questa fantastica attrice ci mette dentro tutta sè stessa.
Ma tutti eccellono in realtà.
E Pattinson lavora ancora con Cronemberg passando soltanto dal sedile di dietro a quello davanti.
Ma torniano alla ragazza ustionata, una Wasikowska che con il ruolo di ragazza difficile o malata ci sta facendo troppo l'abitudine, quasi un Michael Shannon in gonnella.
Lei non fa parte di Hollywwod, lei è qualcosa di vero che torna là.
E niente sarò più come prima, il suo personaggio infetta ancora di più un malato già terminale.
Il problema è che questo film non riesce a non superare un certo limite.
E tutto è troppo esasperato, portato alle estreme conseguenze.
Aveva delle premesse straordinarie ma il collasso è troppo potente, troppo distruttivo.
Fratelli che si sposano con sorelle, figlia piromane e psicopatica, bambini che muoiono di continuo (ma che portano a quella gelida e fantastica scena dell'esultanza della Moore, impressionante), tentativi di omicidi, omicidi, suicidi, pallottole che partono per sbaglio.
No, è troppo, troppo.
Cronemberg perde il senso della misura e arriva alla distruzione completa di una famiglia (metafora dell'intero star system) in tempi troppo rapidi, con modalità troppo esasperate, veloci e automatiche
Anche l'intreccio non funziona al massimo, qualche storia si evolve male o non si evolve al fatto, il richiamo ai fantasmi e al passato troppo opprimente. Le scene del fantasma della madre di Havana ad esempio sono troppe e troppo simili (secondo me le più deboli del film), i gesti violenti troppi e a volte quasi gratuiti.Questo è un film che un tantino asciugato, con meno cose e meno avvenimenti, un pò più ancorato alla realtà, sarebbe stato indimenticabile.
Ma c'è tantissima roba buona dentro.
Io ho trovato incredibile, forse la scena più forte, quella del padre che picchia la figlia, potentissima, quasi un horror.
Ma si arriva alla fine con la sensazione che manchi qualcosa nell'intreccio ma paradossalmente ci sia qualcosa di troppo nelle scene.
Resta comunque un film da vedere, imperdibile.
Uno di quei film che poi ci pensi sopra.
E ancora, e ancora.

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Ultima risposta 08/06/2014 00.42.53
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lucasssss  @  28/05/2014 10:57:52
   4 / 10
no, non ci siamo, film lento e noioso

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Ultima risposta 14/06/2014 11.30.59
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Woodman  @  27/05/2014 21:56:04
   9½ / 10
Critici, giornalisti, pubblico.. continuano a non capire un caz.zo.
Un film strabiliante, magnetico, di un'ancestralità terribile, di una potenza visiva talvolta folgorante.
Un'opera enorme, che rifugge spiegazioni meramente logiche, che s'abbandona all'incalaznte ritmo lineare sul quale si snodano storie mai del tutto chiarite. Non un flashback (ha del miracoloso), non una scena di troppo, non una spiegazione reale ai gesti e alle follie degli ambigui, straniati, parossistici, esuberanti, dannati personaggi. Citando Carmelo Bene: La vita si comprende? No. E allora occupiamoci della vita. E Cronnie non si tradisce cercando di fornire una spiegazione soddisfacente, non accontenta il pubblico sciogliendo ogni nodo, bensì lo tiene sulle spine per poi abbandonarlo con una dissolvenza azzurra.. che si porta via un microcosmo di agghiacciante attendibilità e opprimenti, gelide atmosfere. Non si decodifica nulla, ci viene mostrato un piccolo mondo di grottesca e perversa tragicità, popolato da marionette autolesioniste, distruttive, dilaniate, ermetiche e sbattuteci davanti con ghignante cinismo, un po' come con disperata foga Cezanne aggiungeva tasselli alla sua montagna, mai rappresentabile del tutto, mai del tutto messa a fuoco, mai raccolta in un colpo solo al millesimo sguardo, mai assimilabile in un'ottica soltanto.
L'essere umano, probabilmente.
Astenendosi dall'ostentazione filosofica, letteraria, cinefila (un altro miracolo), il maestro del melò fantastico ci presenta una non-storia respingente e rivoltante, finalmente un esperimento autenticamente simbolista, che ci prende per il **** dalla prima scena dichiarando la pochezza del Cinema che ci è rimasto (o forse del Cinema che c'è sempre stato) e intrappolandoci in sala, calandoci giù le mutande e masturbandoci, perchè è quello che siamo venuti cercando: gioia e appagamento per gli occhi, per tutti i sensi. Siamo i voyeur, ma ben presto ci rendiamo conto che siamo voyeur di noi stessi, cioè del nulla, stiamo assistendo al nulla che si ritorce su se stesso, che giocherella fra sè e sè. Noi siamo il nulla, e ci gingilliamo con gli organi genitali. Nel frattempo Julianne Moore singhiozza davanti al ridicolo fantasma della madre, un divetto sboccato cade preda dei propri ridicoli rimorsi, altri ridicoli fantasmi, una piromane passa da Los Angeles per caso e crea notevole ansia in John Cusack.
Se certi rincog.lionidos hanno affermato che:
1. si capisce subito chi è chi, l'intreccio è debole
2. la psicologia della Moore non è ben sviluppata (vivaddio, sarebbe stata solo una menzogna illusoria, una contraddizione)
3. Pattinson è un cane (sinceramente chi se ne frega, non cambia nulla)
4. la "storia" (!) non convince difettando nella scrittura di certi passaggi, passaggi fatti a caso..
allora proprio non avete colto. Non avete avuto voglia. Potevate stare a casa e risparmiarvi, Mereghetti incluso.

Un esercizio epocale, grandioso, che assolutizza il vuoto e ci costruisce sopra un film che riesce a rimanere comunque relativo, aperto. Perlomeno contenutisticamente.
E pur parlandoci di niente (del resto che cos'è ormai la morte? che cos'è l'odio? o l'amore? bazzecole) siamo investiti da emozioni a raffica, saettanti e pungenti.
Brividi su brividi, scena dopo scena. Raggelante, complesso, mastodontico, importantissimo.
Imperdibile.

Sarà ricordato, sarà studiato, sarà venerato.
Semplicemente il miglior film dell'anno.

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Ultima risposta 30/05/2014 11.15.00
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Invia una mail all'autore del commento logical  @  24/05/2014 01:30:09
   3 / 10
Film pessimo per sceneggiatura, traduzione italiana e recitazione. Julianne Moore realmente imbarazzante e fuori misura, John Cusack tinto come un Magnum al cacao 70% e con uno sguardo da panda che fa compassione. Non c'è tensione, non c'è emozione, solo un dolore vedere Cronenberg raggiungere questo nulla fastidioso e imbottito di luoghi comuni che si pensavano sepolti nelle rubrichette rosa delle lettere alla direttrice di Cosmopolitan o Cronaca Vera. Il povero Evan Bird si sforza di non far scivolare il 'suo' film dalle sue possenti spalle a U cercando di rivaleggiare con i titani di "Mamma ho perso l'aereo" ma non è altrettanto memorabile. Un film atroce e assolutamente irritante per chi ha memoria di Videodrome o Crash; a un idiota si perdona, a un vero regista no.

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Ultima risposta 10/09/2014 20.10.24
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  23/05/2014 02:13:05
   7½ / 10
Difficile da giudicare ben più di Cosmopolis - piaciuto alla critica ma disertato dagli spettatori - "Maps to the stars" potrebbe avere l'effetto contrario. Mentre i giornalisti lo stroncano, il pubblico sembra apprezzarne la sua informe linearità. A prima vista sembra uno strano incrocio tra Mullholland drive di Lynch e La valle delle bambole, ma è facile travisarne la profondità e cogliere tutti quei frammenti ossessivi che fanno dell'odiata Hollywood la mecca delle nevrosi sullo schermo. Cronenberg architetta un puzzle che sembra alimentarsi proprio dalle ceneri dei topoi hollywoodiani più in voga, v. il personaggio di Mia Wasikowska così diffuso come ombra inquieta e "innocente" di certi culti femminili del cinema contemporaneo. Qualcuno azzarda il paragone con Altman, ed è come se venisse accentuata una forte componente satirica, altresì grottesca, nella nuova fase di Cronenberg. Ma più il suo cinema si allontana dai parametri Ballardiani e Burroughsiani del passato, più è facile trovarlo più in sintonia con l'efferato sadismo mondano dei romanzi di Bret Easton Ellis.
E' vero, "Maps to the stars" è sopra le righe, diciamo enfatizzato in più aspetti - si veda la vuota inquietudine di Pattinson/Jerome che sembra destinato a un esito diverso. Forse tardivo nella sua impetuosa analisi del micro/macrocosmo hollywoodiano. Eppure è talmente efficace e devastante l'impatto con questo mondo di reietti in piscina, e la direzione degli attori così superba - su tutti, una Julianne Moore svampita e decadente che non dimenticheremo facilmente - che tutto il resto passa in secondo piano. Sorta di hardcore thriller radicale, è certamente un film di transizione nella carriera del regista, che non sempre riesce a smussare gli angoli riproponendo un passato ancorato alla lucida minaccia dei suoi drammi trascorsi. Ma basta un solo appiglio, v. l'intervista della Moore mentre ricorda la madre in due sentimenti diversi e sembra che il suo cinema, quello di Cronenberg, sia ancora catturato dall'impatto dell'odio sull'amore, o sul divismo individualista anche all'interno del "nucleo"

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Ultima risposta 23/05/2014 23.39.39
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento LukeMC67  @  21/05/2014 23:50:43
   9 / 10
Hollywood, ti odio. Tanto. Tanto?

Dite quel che volete, cari lettori di FilmScoop, ma a me il "secondo filone" cronenberghiano, quello incentrato sulle mutazioni della mente, piace almeno quanto il primo, quello delle mutazioni corporee.

Dunque: prendete un melodrammone, shackeratelo violentemente e lungamente con una dose esagerata di cattiveria e di graffiante ironia verso il cinema e il suo ambiente, mettete un zest di metacinema, condite con una regia linearissima praticamente perfetta, con attori tutti nella parte fino in fondo, mescolate l'intruglio in abbondante melodia di Howard Shore a mo' di salsa sapida evitando accuratamente qualsiasi parte positiva ed otterrete questo ultimo gioiello del Maestro canadese.
Pscicopatia a go-go, lezione hitchcockiana imparata (ed applicata) perfettamente (=non importa la verosimiglianza o la scientificità della sceneggiatura ma come essa tiene sulla corda lo spettatore), eccessi in crescendo entusiasmante, a-moralità ed im-moralità a fiumi e soprattutto, tanta infanzia tutt'altro che innocente; anzi, volgare, approfittatrice, pazza e infine assassina. Proiezione di un mondo adulto che solo questi "valori" sa trasmetterle e la cui unica modalità di comunicazione sono la violenza, la sopraffazione, l'esasperazione e l'esclusione. In cui al perdono e all'affetto si sostituiscono l'oblio, il rigetto e la vendetta.

Critica implacabile al jet-set, soprattutto al cinema "mainstream" (ma, a ben pensarci, vicenda perfettamente trasferibile in qualsiasi altro ambito sociale umano), piena emersione-rappresentazione del nero e del marcio che ci portiamo dentro tutti, Cronenberg mostra e provoca raccontando quanto di più non convenzionale possa esserci (stuzzicando così nel profondo la nostra natura di voyeur che è la stessa che ci fa essere spettatori di cinema) attraverso una narrazione che più lineare e tradizionale non si può. Come sta facendo nella quasi totalità dei suoi ultimi film.

Attraverso una fotografia pulita e nitida, un montaggio analogico da manuale, delle ambientazioni perfette e il maestoso commento musicale del fedelissimo Shore, Cronenberg confeziona un fetido "Psycho-thriller" nel quale non c'è un solo personaggio e una sola situazione positivi. Ma nei quali, ahinoi, possiamo trovare qualcosa di reconditamente nostro; con un po' di onestà intellettuale, o, semplicemente, lasciandoci andare all'emotività più sfrenata.

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Ultima risposta 08/06/2014 00.47.00
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