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Raro esempio di cinema hollywoodiano che affronta di petto l'argomento monastico, dove il raffinato artigiano Fred Zinnemann può dar libero sfogo alla sua nota ricerca del realismo, qui combinata a composizioni che inevitabilmente guardano all'arte sacra. La psicologia di una figura femminile divisa tra rigidi doveri monacali e "sovversive" vocazioni filantropiche viene scandagliata dal regista con estreme sobrietà e sensibilità, chirurgiche quanto la descrizione delle dinamiche interne a conventi e missioni cattoliche, trovando in Audrey Hepburn il volto radioso necessario alla credibilità del racconto. La lunga digressione in Congo si porta dietro alcune vetuste rappresentazioni stereotipiche dell'Africa, e si tratta dell'unica vera macchia di un film altresì di gran valore artistico e intellettuale.