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Mel Gibson è il primo - ortodossia o non ortodossia, antisemitismo effettivo o supposto- a rendersi conto, con una messa in scena possente, che il suo film è l’ultimo remake e nuova versione della più grande storia mai raccontata e che la figura di Gesù Cristo al cinema è spesso pretesto di polemiche, di scandalo, di perplessità, di divisioni culturali.
Le immagini rallentate, i primissimi piani, l’ostinata dilatazione temporale, la persistenza retinica della tortura e dell’afflizione riportano ad un’istanza epica del racconto.
Mel Gibson non vuole fare proseliti, non vuole convincere, non vuole spaventare, non vuole spiegare, accusare. Recita, per due ore, la sua preghiera flagellante e gotica e fustiga il suo attore protagonista e gli spettatori. Da vedere.