la donna che canta regia di Denis Villeneuve Canada 2010
al cinemain tvanteprimearchivioserie tvblogtrailerclassifichespecialiregistiattorirecensioniforumfeedmy
Skin Filmscoop in bianco Filmscoop nostalgia
Ciao Paul!
Ricerca veloce:       ricerca avanzatabeta

la donna che canta (2010)

Commenti e Risposte sul film Recensione sul film Invita un amico a vedere il film Discutine sul forum Errori in questa scheda? Segnalaceli!

Seleziona un'opzione

Dove puoi vederlo?

locandina del film LA DONNA CHE CANTA

Titolo Originale: INCENDIES

RegiaDenis Villeneuve

InterpretiLubna Azabal, Mélissa Désormeaux-Poulin, Remy Girard, Maxim Gaudette, Allen Altman

Durata: h 2.10
NazionalitàCanada 2010
Generedrammatico
Al cinema nel Gennaio 2011

•  Altri film di Denis Villeneuve

Trama del film La donna che canta

Fratello e sorella scoprono, alla morte della madre, un tragico destino che li lega alla furia e alla violenza in cui vive tutto il Medio Oriente. Si può negare il passato, oppure pedinarne le tracce a prezzo di dolorose scoperte, ma non si può crescere senza fare i conti con la memoria. Un viaggio alle radici della rabbia degli sconfitti nel progressivo disvelamento della storia di una donna nel cuore di una terra senza pace.

Sei un blogger? Copia la scheda del film Sei un blogger? Copia la scheda del film

Voto Visitatori:   8,13 / 10 (39 voti)8,13Grafico
vota e commenta il film       invita un amico
Cerca il commento di: Azzera ricerca


Voti e commenti su La donna che canta, 39 opinioni inserite

caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi
  Pagina di 1  

Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  13/01/2013 10:46:42
   8 / 10
Ringrazio Oh Dae per avermelo consigliato, prima di tutto (ed è il primo dei tre... sotto con gli altri).

Incendies merita tanto per svariati motivi al di là dei difetti che alcuni hanno fatto giustamente notare: perché pur mostrando la violenza senza esagerarla, in realtà disturba per quello che è accaduto fuori dallo schermo. Conta anche il fatto che sappiamo benissimo quanto cose del genere accadano in una realtà terribile come la nostra, non solo mediorientale.
Villeneuve va elogiato per non indugiare in una pornografia del dolore, mostrato più nelle sue componenti traumatiche che nell'effettivo momento in cui avvengono: le urla di una prigioniera ci disturbano quanto vederla torturare, grugniti di dolore e umiliazione ci colpiscono quanto uno stupro avvenuto un attimo prima, non mostrato, e cosi via.
Direi poi che la rivelazione per me inaspettata dei destinatari di quella lettera è talmente inconcepibile in un primo momento che davvero non riuscivo a capire; non riuscivo a capire perché uno più uno non fa due. Però poi ho capito.
E lo sgomento si faceva strada lentamente.
Per il resto confermo che il film non è esente da pecche: una matassa narrativa che si snoda attraverso il presente e i flashback, quindi col percorso dei figli e della madre, in un gioco ad incastri non perfettamente riuscito e troppo macchinoso. Impossibile non notare alcune forzature.
Ma si resta colpiti da un pugno allo stomaco e la lettura delle due lettere vale tutte le recensioni positive di questo mondo.

Scelta particolare alcuni brani dei Radiohead nella colonna sonora... sempre bene accetti in ogni caso.

4 risposte al commento
Ultima risposta 26/01/2013 18.29.17
Visualizza / Rispondi al commento
Gruppo COLLABORATORI JUNIOR oh dae-soo  @  26/09/2011 23:07:19
   9 / 10
Se non fosse per alcune forzature e per quello che a mio parere è un errore di sceneggiatura addirittura pacchiano, non avrei difficoltà a considerare La Donna che canta un capolavoro assoluto, un film indimenticabile.
Un film che mischia in maniera geniale la Storia alla Tragedia greca (una famosissima tragedia greca ripresa in maniera quasi speculare), che attraverso le sconvolgenti vicende che ruotano intorno a Nawal e alla sua famiglia cerca di intraprendere un discorso più ampio, molto più ampio.
Nawal è una libanese trapiantata in Canada. Ha due figli gemelli. Alla sua morte i ragazzi scoprono nel testamento di essere stati "incaricati" dalla madre di tornare in Libano per cercare il fratello (che non sapevano di avere) e il padre. E' il suo ultimo volere, impossibile sottrarvisi.
" La morte non è mai la fine di una storia" afferma ad un certo punto il notaio amico di famiglia ai due gemelli. Niente di più vero, per i ragazzi la morte della madre significherà probabilmente l'inizio della loro storia perchè la difficile e tremenda ricerca delle proprie origini li porterà a scoprire per la prima volta chi sono e da dove vengono. "A volte è meglio non saper tutto" viene detto a Jeanne, la figlia femmina. E' davvero meglio così? Vivere una vita spensierata che ha alle spalle un buco enorme oppure conoscere la tremenda verità? (la stessa domanda e opzione che, all'incirca, abbiamo alla fine di Old Boy - con il capolavoro di Park non finiscono qui le somiglianze...- e Shutter Island). I ragazzi scelgono la seconda opzione, estirpare completamente le proprie radici dalla terra anche se queste sono letteralmente cosparse di sangue.
Sangue di vittime innocenti, come quelle del conflitto civile libanese tra cristiani e musulmani. Nawal ( la madre) scoprirà con i propri occhi che non c'è una fazione che si possa preferire all'altra, che la violenza e lo sterminio sono gli unici mezzi conosciuti pe prevalere l'un sull'altro. La terribile scena dell'autobus (turning point della vita di Nawal) la porterà a non credere più in nessuno, nè nell' Uomo nè nella propria stessa vita. Qualcosa si è rotto in quell'incendio e in quella fuga tragicamente interrotta della bambina verso la madre.
Ma anche un altro sangue, il sangue del suo sangue, ha insozzato quelle radici. Una serie di terribili coincidenze porterà a un abominio che Nawal, una volta scoperto, non riuscirà ad accettare, preferendogli forse la morte. E' questo che vuole che i figli sappiano, è per questo che li rimanda in Libano. Non sarebbe bastato dirgli la verità, c'è bisogno che i ragazzi abbiano il quadro completo, che conoscano tutta la vita di Nawal perchè solo così probabilmente lei avrà la sua pace. "1 + 1 può fare 1?" chiede Simon a Jeanne in una delle scene emotivamente più forti. L'equazione sembra impossibile ma questo non è il mondo della matematica, questo è il mondo reale, quello dell'uomo e non c'è legge scientifica che regga. E così quell'infanzia, quel "coltello piantato in gola" viene finalmente fuori.
E come in Persepolis, come in Valzer con Bashir sembra che tornare indietro, analizzare la propria storia sia assolutamente vitale per il popolo mediorientale.
Il film, a livello puramente cinematografico eccelle. Già la prima scena con lo sguardo del bambino in camera (e una strepitosa canzone dei Radiohead in sottofondo) è da pelle d'oca. Forse il top è rappresentato dallo strepitoso piano sequenza dell'omicidio del politico da parte di Nawal.
Ci muoviamo in spazi immobili in cui il tempo sembra essersi fermato. Gli scenari sono mozzafiato, dai sentieri disegnati del deserto alle strade distrutte dalle bombe. La narrazione è gestita in modo mirabile, il passato di interseca col presente alla perfezione, specie a Daresh quando in un perfetto montaggio alternato vediamo Nawal nel passato e sua figlia Jeanne nel presente cercare la stessa persona, il figlio abbandonato per la prima e il fratello scomparso per l'altra.
La recitazione (anche qui obbligatoria la lingua originale) è a livelli altissimi, oserei dire immensi per quel che riguarda Lubna Azabal, la donna che interpreta Nawal. Queste sono prove che un attore, e con lei lo spettatore, si porta dentro per sempre.
Purtroppo non mancano le forzature, specie quelle riguardanti Abou Tarek, il torturatore. Finisce proprio in quella prigione? E poi, a guerra finita, si rifugia proprio in Canada? nello stesso paese? nella stessa piscina?
E non manca un errore madornale riguardo le date e le età dei protagonisti, errore che spiegherò nel dettaglio con chi ha voglia di farlo.
Peccato perchè è un film straordinario. E' incredibile come l'amore e l'odio possano coesistere così. Un figlio frutto dell'amore diviene la tremenda reificazione dell'odio, un odio che poi si trova a generare suo malgrado altro amore.
Le catene sono ormai spezzate, tutti sanno tutto.
E Nawal, una donna che ha subito le più grandi sofferenze che una donna possa subire, che lo ha fatto cantando per non doverci pensare, diventa simbolo di tutto, di ciò che di più bello e di più terribile possa venir fuori da una guerra che, come tutte le altre, rappresenta soltanto una nostra cocente sconfitta.

4 risposte al commento
Ultima risposta 04/03/2012 21.28.04
Visualizza / Rispondi al commento
Gruppo COLLABORATORI JUNIOR strange_river  @  15/03/2011 18:23:48
   8 / 10
Nawal Marwan incarna la forza del mito che trae forza dalla tragedia e la sovverte.
Figura che si erge monumentale a simbolo di tutte le violenze, le angherie, le crudeltà subite dalle donne in guerra.
Donna che canta e resiste e che nel momento agghiacciante di una verità che le toglie la parola e finanche la vita, decide di svelarla ai suoi figli con un atto coraggioso ed estremo, ma con il quale solamente essa sa di poter sovvertire lo stato delle cose.
Donna che varcherà l'innominabile in nome di un amore ancora più grande, grazie al quale potrà finalmente rinascere, morire e riposare in pace.
E ancora, donne piene di forza che mantengono vivi i legami più profondi, piccole gocce di futuro in un mare di odio devastante.
Il contesto storico attualizza e ricorda quello che da sempre succede in guerra, qui la tragedia si chiude su se stessa fino a spezzare il respiro: poco importa se non sempre tutto scorre, se alcuni aspetti sono appena accennati o altri non sono perfettamente incastonati, è sempre storia di questi tempi.
La verità di alcuni momenti è così sporca e brutale che cancella perplessità e indecisioni ed emerge una realtà che senza veli si mostra nella sua posa più ripugnante.

7 risposte al commento
Ultima risposta 05/01/2012 22.49.40
Visualizza / Rispondi al commento
Crimson  @  03/03/2011 23:52:13
   7½ / 10
Spoiler onnipresenti all'interno del commento.

Le donne sono le principali vittime di violenza e sopraffazione, ed è da una donna che Villeneuve riparte col suo tentativo disperato di portare alla ribalta i temi che ha più a cuore.
Giunto al quarto lungometraggio il regista canadese adatta al cinema un testo teatrale di alcuni anni fa e punta veramente in alto considerando i molteplici piani narrativi che stratifica.
La vicenda parte dal Canada e ritorna vertiginosamente al punto di partenza, passando attraverso la guerra civile libanese.
La tragedia è perpetrata nel tempo e ha bisogno di diversi elementi concilianti affinché i sentimenti derivanti da essa possano trovare una loro collocazione.
'Polytechnique' denunciava un mondo maschilista in cui alla donna venivano negati i diritti fondamentali. La riflessione partiva da una deviazione sociale di un singolo, ma diveniva una inquietante lente d'ingrandimento di un fenomeno molto più imponente, anche se giunge filtrato ad un occhio meno attento o semplicemente abituato e conformato. La protagonista, alter ego nella realtà di Heidi Rathjen, decideva di combattere il sistema che le aveva causato dolore battendosi per un controllo più restrittivo sulla possibilità di reperire armi da fuoco.
Obiettivamente Nawal, protagonista di 'Incendies', vive un dramma ancor più sconvolgente, che tocca tutti i suoi diritti. Un'odissea senza fine, che ha bisogno di apparire in tutta la sua cruda realtà agli occhi di quanto le è più caro, ossia i propri figli.
L'inverosimiglianza dell'incastro narrativo mette tutti d'accordo. Ma in che misura essa interferisce con il senso tragico che il film evoca?
Denis Villeneuve se ne serve maliziosamente, o è un limite pressoché inevitabile del testo teatrale su cui si basa il film?
Sono interrogativi che a partire dall'unanimità del primo, inconfutabile elemento di analisi, generano reazioni contrastanti circa il giudizio sul film.
A mio avviso si corre il rischio di sminuire frettolosamente il valore del film seppellendo il vero motivo di interesse: perché Nawal scrive questo farraginoso testamento, quale è il suo obiettivo?
E' lei stessa a palesarlo: necessita di una identità, di affermare la propria verità dunque, il proprio essere esistita al mondo. Perché fino alla morte è stata privata di ogni suo diritto e ha celato il suo orrore agli occhi degli stessi figli.
A questo punto per me non ha più molta importanza come Nawal e i propri figli abbiano completato il proprio puzzle, ma con quale intento.
Nel film viene ripristinato un senso di giustizia, e ciò non sarebbe stato tale, evidentemente, se non si fossero verificate quelle improbabili congiunzioni del destino di cui sopra. Spogliando la narrazione dai suoi risultati, non restano in fin dei conti le intenzioni con cui tutto ha inizio?
Nel Cinema del regista canadese ricorre l'espediente della lettera come punto d'incontro tra il comunicatore e il doppio recettore (il destinatario nel film e di riflesso lo spettatore). La sofferenza in questo caso necessita di essere trasmessa, e ancor prima, elaborata in forma scritta da parte di chi l'ha provata sulla propria pelle. Una tragedia di questa portata comporta una vera e propria scissione in chi l'ha subìta.
La violenza ha interferito con ogni ruolo sociale che l'identità di Nawal è nel momento in cui si esplica: madre, vittima, omicida, cittadina, amante. Lei ne è talmente consapevole da avere la lucidità di chiarirlo con cura nelle sue missive.
A Nawal tuttavia per affermarsi non basta riuscire a fare i conti con ogni aspetto della sua identità ferito irreparabilmente.
Ciò che le mancava era che i suoi gemelli comprendessero la vera natura da cui ha avuto origine la loro vita, ossia l'amore per il suo ragazzo palestinese.
Essi sono dunque la perpetuazione di quel sentimento e la conseguente testimonianza dell'esistenza della madre. Ciò non sarebbe stato possibile se loro stessi non avessero in qualche modo vissuto quella esperienza attraverso quel viaggio a ritroso in Libano.
Fino alla scoperta dell'identità del primo figlio, la nuova vita canadese di Nawal era stata contrassegnata dall'inoppugnabile senso di rifiuto per i propri gemelli e il disgusto verso l'atto da cui erano nati.
Alla luce di tutto ciò l'integrità e la forza trasmesse da questa donna hanno una connotazione veramente speciale.
Meno coinvolgente, anche se vive dei suoi picchi, il rapporto tra i gemelli.
Lo scavo dei personaggi principali avviene molto più attraverso il linguaggio non verbale, piuttosto che con l'esplicitazione. Di conseguenza è un gran peccato come in alcuni frangenti il dialogo, al contrario, semplifichi un processo naturale che un'immagine precedente ha comunicato con più incisività.
Le sequenze che non ti lasciano indifferente: l'assalto all'autobus, l'abbraccio tra i gemelli in acqua, la visita di Jeanne al villaggio in cui la madre è nata. Pillole di Cinema d'autore.
Viceversa, resta l'amaro in bocca per alcune scelte alquanto grossolane. Una su tutte: le età degli attori che non coincidono, nel vorticoso e evidentemente fin troppo pretenzioso tentativo di rappresentare il dramma su diversi piani temporali.
L'equilibrio tra forma e materia trattata, che in 'Polytechnique' era pressoché perfetta, viene qui inficiata da un gusto per l'eccesso che purtroppo stona e inquina la naturalezza con cui il regista canadese cerca disperatamente di veicolare il proprio nobilissimo messaggio.
Maxim Gaudette si conferma bravo, ma la sorpresa è Lubna Azabal.
Villeneuve merita attenzione, se però rinunciasse a superflui arzigogoli narrativi (a partire dal procedere a incastro: questo film anche a causa dei suoi continui salti abbia delle somiglianze con 'Teza') il suo Cinema, asciutto ma non sempre congruente, ne gioverebbe senz'altro.

"Seasons have changed
Leaves have fallen, elements dispersed
The death of cells in the flesh of time
Universes keep on revolving"
(Arianne '04)

4 risposte al commento
Ultima risposta 27/09/2011 17.13.12
Visualizza / Rispondi al commento
Gruppo REDAZIONE VincentVega1  @  03/02/2011 10:22:40
   6½ / 10
Un film duro, crudele, riflessivo e poetico.

Due gemelli, dopo la morte della madre, si mettono alla ricerca di un padre ed un fratello mai conosciuti, in un viaggio in Medio Oriente che riaffiorerà il passato della donna.
Un racconto che viene sbalzato continuamente in due epoche differenti ma che riesce comunque a mantenere la propria dignità narrativa, inoltre la rappresentazione del conflitto religioso fra cristiani e musulmani è caustica ma incisiva.

Purtroppo il finale è obbrobrioso, dove con un colpo di scena (ingiustificato ed inutile) si vuole aggiungere ulteriore disperazione ad una storia sin troppo tragica. Peccato.

5 risposte al commento
Ultima risposta 27/09/2011 17.27.11
Visualizza / Rispondi al commento
  Pagina di 1  

vota e commenta il film       invita un amico

In programmazione

Ordine elenco: Data   Media voti   Commenti   Alfabetico


1049922 commenti su 50709 film
Feed RSS film in programmazione

Ultimi film inseriti in archivio

7 BOXESBLIND WARCACCIA GROSSACHAINED FOR LIFECHIEF OF STATION - VERITA' A TUTTI I COSTICONFESSIONI DI UN ASSASSINOCONTRO 4 BANDIERECUGINE MIEDAREDEVIL - IL CORRIERE DELLA MORTEDAUGHTER OF DARKNESSDISAPPEAR COMPLETELYDOUBLE BLINDGIRL FLU - MI CHIAMANO BIRDGUIDA ALL'OMICIDIO PERFETTOI 27 GIORNI DEL PIANETA SIGMAINTIMITA' PROIBITA DI UNA GIOVANE SPOSALE DIECI LUNE DI MIELE DI BARBABLU'MERCY (2023)NOTTI ROSSEORION E IL BUIOOSCENITA'RAPE IN PUBLIC SEASANGUE CHIAMA SANGUESPECIAL DELIVERYSUSSURRI - IL RESPIRO DEL TERRORETHE BELGIAN WAVETHE DEVIL'S DOORWAYTHE EXECUTIONTHE GLENARMA TAPESTHE PAINTERTHE WAITUNA SECONDA OCCASIONEUNA TORTA DA FAVOLAUN'ESTATE DA RICORDARE (2023)VENDETTA MORTALE (2023)WHAM!

Ultimo film commentato

Ultimo post blog

Speciali

Speciale SHOKUZAISpeciale SHOKUZAI
A cura di The Gaunt

Ultime recensioni inserite

Ultima biografia inserita

Casualmente dall'archivio

Novità e Recensioni

Iscriviti alla newsletter di Filmscoop.it per essere sempre aggiornarto su nuove uscite, novità, classifiche direttamente nella tua email!

Novità e recensioni
 

Site powered by www.webngo.net