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Dopo il buon esito di critica del precedente primo lavoro "private", molto apprezzabile per arditezza della trama e delle scelte registiche, il "figlio di costanzo" torna al grande pubblico con un film che affronta il tema della vocazione religiosa, del senso da dare alla vita, del rispetto della propria interiorità. Liberamente ispirato al romanzo "Il Gesuita perfetto" di Furio Monicelli, il film scorre lento, ed è interamente ambientato nell'ex monastero che ora ospita la Fondazione Cini a Venezia. Monocorde, insiste più sui risvolti psicologici immaginati dei protagonisti piuttosto che sui dialoghi. Il risultato comunque appare pretenzioso e abbastanza velleitario, una sorta di tiepida prova di una giovane promessa. La sceneggiatura in diversi punti lascia perplessi (la discesa tardiva del protagonista nel refettorio) e anche i commenti musicali a volte appaiono fuorissimo luogo, con un uso a mio parere inappropriato di temi classici. La vetrata del seminario è inquadrata mille volte, e le espressioni del protagonista si contano in tutto su una mano.... insomma, non è un esperimento ben riuscito, "Private" era più acerbo, meno pretenzioso, più omogeneo...
Alla fine non c'è un messaggio univoco, poichè i due protagonisti scelgono strade diverse ma entrambi appaiono felici.... non si tratta probabilmente di parteggiare o meno per l'appartenenza religiosa, quanto piuttosto di scegliere di seguire la propria strada...