I re e le regine, i principi e le principesse, i boschi e i castelli di tre regni vicini e senza tempo; e poi orchi, animali straordinari, draghi, streghe, vecchie lavandaie e artisti di circo: sono i protagonisti di tre storie liberamente ispirate ad altrettante fiabe de "Il racconto dei racconti" di Giambattista Basile.
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Probabilmente quello che si rimprovera a questo film di Garrone, cioè una narrazione che non crea sufficiente empatia con lo spettatore, è dovuto al fatto che il regista si è concentrato più sull'estetica che sul racconto, disperdendo il patrimonio folklorico dell'opera di Basile e quei codici fiabeschi che avrebbero meritato semplicemente di essere traslati fedelmente sul grande schermo, magari con l'aggiunta di una bella voce narrante. Al contrario, Garrone perde le tracce di quello che è un mondo fantastico pieno di vitalità e contrasti*, di drammaticità e comicità, di bruttezza e bellezza, di vizi e virtù capaci di innescare un esplicito risvolto morale; tende piuttosto ad appiattire tutto nell'ambiguità e nell'afflizione, nella bruttezza e nell'oscenità (anche gratuita), che non creano nessun rapporto dinamico con le rispettive controparti, cosicché il racconto quasi perde di senso e restituisce freddezza, monotonia, nonostante la qualità delle inquadrature, la potenza delle immagini e il fascino di un cinema in buona parte artigianale.
* Emblematica è la rappresentazione della bellezza femminile. Perfino la più bella delle fanciulle risulta anonima (Stacy Martin). Eppure Basile era stato chiaro: "La sua faccia era tornata quella di una ragazza di quindici anni, così bella che tutte le altre bellezze sarebbero sembrate ciabatte scalcagnate al confronto di una scarpina attillata e calzante".