Vivere a Barbie Land significa essere perfetti in un luogo perfetto. A meno che tu non stia attraversando una crisi esistenziale. Oppure tu sia un Ken.
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VINCITORE DI 1 PREMIO OSCAR: Miglior canzone originale (What was I made for? - Billie Eilish O'Connell, Finneas O'Connell)
VINCITORE DI 2 PREMI GOLDEN GLOBE: Miglior canzone originale (What was I made for? - Billie Eilish O'Connell, Finneas O'Connell), Miglior incasso al botteghino
Esiste una parola tedesca che non ha traduzioni in italiano, ed è "Fremdschämen", che indica la situazione in cui sei profondamente imbarazzato per qualcuno che non si rende conto di starsi rendendo ridicolo. Ed è davvero il sentimento profondo che ho provato per la regista, ma in fin dei conti per tutti gli attori, a partire da Margot Robbie e Ryan Gosling, nell'essere riusciti a dar forma alla peggior pellicola mai uscita sul grande schermo dal tempo de "la storia infinita 2". Si fatica davvero a capire quale sia il messaggio finale: critica al patriarcato? Il corpo della donna oggettivato a mero strumento sessuale? I cavalli conquisteranno il mondo? Il valore del rapporto tra uomini e donne va ridefinito? Ma soprattutto... Will Farrell che razza di ruolo aveva nel film? E chi diavolo ha scritto il dialogo finale completamente incomprensibile tra Barbie e la sua creatrice? Tanto, tantissimo imbarazzo per chi ha buttato via una occasione importante, utilizzando i soliti fondi infiniti di Hollywood per una pellicola ai limiti di un B Movie. Senza far ridere. Fremdschämen
Film che, che ci piaccia o no, segnerà un'epoca. Non lo riguarderei, ma è certamente curato nei dettagli. Chi si lamenta della sua semplicità evidentemente non ha capito che è voluta proprio per poter arrivare al maggior numero di persone (maschi) possibile. E, da maschio etero che potrebbe tranquillamente bearsi del proprio status "privilegiato" non posso che rallegrarmene.
Ho visto Barbie. Sì, l'ho fatto. Quando sono uscito dalla sala non ero incazzato, però. Non ero neanche nauseato. Non provavo repulsione, afflizione, scoramento. Nulla di tutto questo. Ero svuotato. Di solito dopo ogni spettacolo ho sempre qualche commento da fare a caldo. In questo caso, ne è uscito un commento lapidario e asciutto: "Tante risorse impiegate male". In quel momento è uscito di getto, ma sentivo che, in realtà, dentro di me ribollivano strati e strati di pensieri che dovevano aspettare la quiete dopo la tempesta, per sedimentarsi a dovere.
Al terzo tentativo ci sono riuscito. Niente overbooking stavolta: dopo tre settimane, evidentemente la maggior parte del gregge era già rientrata all'ovile. Quindi mi sono mischiato ad alcuni esserini vestiti di tutte le tonalità di rosa e fucsia possibili, mi sono seduto in sala e ho visto quel benedetto film che ha fatto letteralmente impazzire questo mondo allo sbaraglio. L'ho visto perché ho imparato che, nel bene e nel male, se vuoi parlare di qualcosa lo devi prima conoscere personalmente. Dovevo vederlo per farmi la mia idea sul fenomeno dell'anno. Mi sono pure sforzato di essere imparziale, perché ero pur sempre seduto in sala e stavo pagando per uno spettacolo. Quindi mi sono detto: "Bene Barbie, a noi due. Se sei meno mer*a di quanto mi aspetto, mi lascerò stupire dal tuo mare di confetti rosa. Dacci dentro."
Purtroppo però, Barbie ha estratto una mitragliatrice gatling rovente e mi ha scaricato addosso una serie infinta di confetti dum-dum che mi hanno crivellato selvaggiamente per oltre due ore. Ma andiamo per gradi. Siccome so già che arriveranno i social justice warrior, l'anonima cinefili, gli esteti della mer*a e tutto il resto dell'armata brancaleone, parto dalla qualità del film come contenuto di intrattenimento. E poi passiamo al sugo vero e proprio.
Come opera filmica, questo film è sicuramente frutto di uno sforzo collettivo notevole e di un impiego di tecnica e mezzi di alto livello. È innegabile. È indubbiamente un film molto curato e con un budget e una gestione dello stesso che gli ha permesso di avere una confezione quasi perfetta. Si può dire che verosimilmente ogni cosa è andata al suo posto e si è incasellata esattamente nel modo preventivato dalla regista. E questo va riconosciuto. Così come va riconosciuto che i 150 milioni di marketing impiegati per promuoverlo insistentemente per 6 mesi hanno attecchito in modo incredibile e un po' inaspettato. Il problema è che non è divertente. E' demenziale per lo più, eccezzion fatta per alcuni sporadici momenti e non si ride mai. Ora passiamo agli aspetti davvero succosi. BARBIE: LA LEGGE DEL TAGLIONE (O DEL TAGLIAUNGHIE) Dal punto di vista commerciale, Barbie è letteralmente una macchina da guerra perché è riuscito ad essere ultra ecumenico e popolare, pur partendo dalla storia di una bambola per bambine. E l'ha fatto proprio giocando sulla verità che ogni donna di oggi era una bimba ieri e non può non aver giocato con Barbie. E' un film pensato per essere fruito dalla generazione Tik-Tok fino alla pensionata, grazie a una dose di paraculaggio e di ruffianaggio spinto e spudorato sui concetti che oggi vanno tanto di moda e smuovono quasi pavlovianamente le coscienze civili: il femminismo e il patriarcato. Spettri che si aggirano in ogni dove, giorno e notte, ricordandoci continuamente della loro rumorosa presenza. Il punto è proprio questo, chi mi dice che "Barbie è un film leggero e spensierato, per passarsi due ore in sala ridendo a non pensando a nulla" o è un idiota o è in palese malafede. Perché questa versione semplicemente non regge. Il film, fin dal suo esordio, è una specie di manifesto misandrico ultra didascalico della durata di due ore che ti ricorda costantemente quanto le donne siano oppresse, ma abbiano un potenziale di gran lunga superiore agli uomini, quanto il mondo sarebbe perfetto se fosse lasciato totalmente in mano a loro e quanto gli uomini siano degli inetti, idioti, trogloditi buoni a nulla. Questo non è un parere, è un fatto. Non è una interpretazione di un incel, di un misogino o di un sociopatico, questa è la pura realtà che si desume chiaramente dalla visione di questo film. Barbie è una specie di bomba atomica gettata in sala, pronta a detonare portando alle estreme conseguenze quella lotta tra i sessi che pare essere diventata il nuovo sport internazionale di politici, influencer e media, da diversi anni a questa parte. Non è un film leggero, non è una cagata solo per ridere, e non è un film innocuo. Tutt'altro. Barbie è un film che finge di essere autoironico e si prende invece maledettamente sul serio. Con una serietà nella messinscena che inquieta profondamente. E' un film militante, che getta benzina sul fuoco mentre canticchia e alimenta l'idea che esista un patriarcato ultra oppressivo verso le donne ( libere e occidentali ovviamente, mica di altre latitudini del globo) e che queste debbano vendicarsi per secoli e secoli di vite frustrate, agendo specularmente rispetto ai torti che reputano di aver subito. In pratica, Barbie è una specie di codice di Hammuraba (al femminile) dove si dice "Occhio per occhio, dente per dente" e non lo si dice "tanto per ridere" o perché "si scherza tra amici". Lo si ripete, tra una gag mal riuscita e un balletto, come un rullo compressore per due ore e passa di pellicola, trasmettendo un messaggio talmente forte che, se non si hanno gli strumenti cognitivi e intellettuali necessari a proteggersi da un simile downburst, si rischia di finire e gambe all'aria, prendendola sul serio. Ed è questa la cosa grave. Barbie è un film che diseduca. Se dovessi antropomorfizzare Barbie, sarebbe la professoressa delle medie che è delusa dal suo grande amore e ha giurato vendetta eterna, sparlando degli uomini in classe ad ogni piè sospinto e approfittando di ogni occasione per denigrarli e maledirli fino alla fine dei tempi. Ciò che rende estremamente pericoloso un prodotto come Barbie è proprio la sua apparente patina di infantile innocenza, perché è proprio "la bambolina" più famosa e conosciuta di sempre ad essere il cavallo di troia perfetto per dare il colpo di grazia alle donne, più che al patriarcato. Rafforzando una narrazione acre e sanguinosa in chi già la possiede e innestandola sui fogli bianchi di chi ancora (per sua fortuna innocente) non la contempla. BARBIE NON è UN FILM FEMMINISTA Sì perché sto film è femminista solo di facciata. Femminismo dovrebbe essere lottare per dare alle donne le stesse possibilità degli uomini, perfezionando un processo che ha avuto una accelerata evidente negli ultimi decenni nel mondo occidentale. Dovrebbe valorizzare il ruolo delle donne puntando sui loro tanti punti forti e complementari rispetto a quelli maschili, plasmando una società fondata su un reale equilibrio virtuoso tra i sessi. Qui invece non c'è alcun femminismo. SI sponsorizza un Matriarcato dove tutto funziona apparentemente a meraviglia, dove le donne sono iper individualiste, anaffettive, stakanoviste e perfette, mentre gli uomini sono delle eterne macchiette prive di alcuno scopo nella vita, letteralmente. Le donne sono plasmate da Barbie non secondo il modello di libertà reale della condizione femminile, che dovrebbe consentire alla donna di sentirsi libera di scegliere se essere single, fidanzata, moglie, madre, donna in carriera, ciascuna singolarmente o in varie combinazioni tra loro o tutte assieme. Barbie propone uno standard di perfezione che parte dall'estetica senza difetti e dagli "outfit" e passa necessariamente per la demolizione dell'universo maschile, in un arroccamento inevitabile verso una vita dedita unicamente a "realizzare sé stessa", passando obbligatoriamente per shopping e lavoro. Non lascia la libertà di immaginarsi, ma traccia alla lavagna l'ideale da inseguire per essere "cool" (termine molto usato nella pellicola) e per non essere "quella strana". Praticamente un lavaggio del cervello ultra consumistico spacciato per manifesto del femminismo. Diabolico, da quanto è geniale. Peraltro è palese notare come il film stigmatizzi in modo implacabile la maternità, rendendola semplicemente una cosa "strana", poco cool (aridaje) e quindi un puro ostacolo alla realizzazione di una donna. Che per carità, è una visione legittima, ma mostrata così rischia di agire a livello subliminale soprattutto sulla platea più giovane. E siamo sicuri che sia un bene, convincere qualcuno che la maternità fa schifo ed è "strana"? È legittimo che, dall'inizio alla fine della pellicola, si mostri la figura e il ruolo della madre come depressa, compressa, infelice, frustrata, insoddisfatta e sull'orlo di una crisi di nervi costante? Soprattutto, è legittimo che lo faccia il film di Barbie? Che poi probabilmente Barbie non farà altro che dare il colpo di grazia, perché questo processo di indottrinamento incrementale procede a spron battuto da decenni. Così come procede l'incremento della denatalità, con l'aumentare del benessere nei paesi occidentali, capitalisti e "avanzati". Ed è indubbio che, proporre una società a ruoli invertiti, dove le donne devono diventare i maschi e i maschi devono interpretare le donne, entrambi nelle loro peggiori accezioni, lasci perplessi e impoverisca inevitabilmente. Si badi bene, a me non frega niente di fare il moralizzatore. Ciascuno può vivere la vita come meglio crede e fare quel che gli pare, finché non fa danno agli altri. Ma mi chiedo: quale impatto può avere proporre una Cura Ludovico ammantata di rosa di questo tipo? Sicuramente può portare #solocosebelle. Giusto? L'HAI IMPARATO DA PAPA'? SI CERTO, DA PAPA'… Chiudo con una nota di colore. Mi ha colpito la scena dell'inseguimento bislacco e demenziale tra i suv della Mattel e l'auto della mamma depressa. In quel momento, dopo un inaspettato impeto di guida sportiva di lei, la figlia le chiede: "Ma te l'ha insegnato papà?!" e lei risponde "Sì sì, certo, papà..!" e poi prosegue a bassa voce, lasciandosi sentire solo da Barbie, "C'era un tipo che guidava in un modo…", con tanto di risatina ammiccante tra le due, a evidenziare il sottinteso e aprendo a due ipotesi. O si menzionava il cursus honorum "strutturato" della mamma prima del matrimonio (che poi ha finito irrimediabilmente per sentirsi compressa e deprimersi nel rapporto familiare) oppure palesando possibili scappatelle nel mentre. Un modo sibillino di rimarcare che la libertà sessuale femminile, anche filtrata dal mondo asessuato di Barbie, deve essere un cavallo di battaglia immancabile per fissare l'ideale di donna predisposto da casa Mattel e da Hollywood. Anche in questo caso: nessuna volontà di esprimere giudizi morali. Me ne frego bellamente di quello che fa una persona prima, durante o dopo il matrimonio. Sono solo affari suoi. Ma un messaggio di quel tipo, associato all'ideale di donna che Barbie propugna ed eleva al quadrato, che senso ha? E non venitemi a dire che sto film è "solo un film" perché vi rido in faccia fino a domani. Un miliardo di incassi in tre settimane. Milioni di persone riversate in sala vestite di rosa, senza che nessuno glie l'avesse chiesto peraltro. Gente che ha sostituito la foto profilo con Barbie. Gente che dopo la visione del film ha "mollato il ragazzo" perché "meritava di meglio". Gente che ha deciso di chiamare i figli nascituri coi nomi di Ken e Barbie. Dopo la visione del film. Capito? Non prima, dopo. Con le sue plurime citazioni, con la sua magnificenza visiva, con le sue manate di rosa confetto, i suoi attori di grido, i suoi outfit ultra-posh e il suo cattivismo malcelato, credo che il Film di Barbie sia il parto perfetto e totalmente allineato con il mondo del 2023. E con la visione di mondo che, a tendere, si augura sia sempre più estesa e propugnata in ogni dove. Un mondo ultra polarizzato dove non può esserci equità, ma solo una battaglia continua per la supremazia, abbinata ad un isolamento e ad un inaridimento che non potrà che nuocere a entrambe le parti, ma verrà spacciato per trionfo emancipato. L'ennesimo passo in avanti verso l'involuzione della specie dell'homo consumens. Perché questo film, purtroppo, si radica benissimo dove non ci sono riferimenti culturali e prospera dove trova il vuoto. E indovinate a chi fa comodo che ci sia il vuoto nelle persone? A chi vi vuole ficcare le mani nel portafoglio. Bingo. Anzi, Barbingo.
Si tratta di una enorme campagna publicitaria, sulle orme di film come Lego Movie, e si sapeva. Detto questo mi sono divertito molto nel vederlo. Nel finale si perde un pò troppo con un sacco di tematiche impegnate, oramai diventate parte della sceneggiatura standard di qualsiasi film di intrattenimento. Lo fa in maniera efficace o è solo marketing? Una cosa la dice: nel mondo di Barbie, dove vige il matriarcato, i ken lavorando sodo otterranno il 10% dei diritti e dello spazio delle donne del mondo reale.
Torno a commentare dopo tanti anni, non perché il film in questione meriti chissà quale analisi, piuttosto perché il successo di pubblico è tale che due domande tocca farsele, e io me le sono fatte. Mi sono chiesto perché la Warner Bros e la Mattel abbiano assoldato due nomi cult del cinema indie americano per quella che doveva essere ed è un'operina assolutamente commerciale, e mi sono chiesto fino a che punto i due abbiano avuto libertà espressiva, dal momento che il film è indubbiamente pretenzioso nel porsi come importante ed imponente riflessione culturale e sociologica. Le risposte sono scontate, probabilmente perché viviamo in un'epoca scontata, così come è scontato il film. Che è colorato, danzerino, buffo, moderatamente divertente e tratta il suo pubblico come un idiota che ha bisogno che ogni cosa gli venga spiegata tre volte, sempre a parole e mai con i fatti. Corto circuito tra parola e azione che equivale alla morte del cinema a parte, direi anche che l'accostamento tra la bambola più famosa del mondo e l'incubo del patriarcato sia una bella idea di fondo. Peccato che la legge del marketing abbia mozzato quella che poteva essere una bella pagina di cinema indipendente. E, rimanendo all'abc della scrittura, ogni forma di antagonismo è puramente causale (vedasi il pietoso personaggio di Ferrell e compagnia). Su tutto si staglia la presenza scenica carismatica e radiosa di Margot Robbie, attrice sempre più amabile; Gosling gioca la carta dell'autoironia ma a me è parso come sempre ingessato e mai a suo agio. Volente o nolente, è un film che segnerà questi anni.
Tre Sale su Cinque occupate da "questa cosa" stupidissima, film non programmati e soffocati da "Barbie", spettacolino adatto allo stesso pubblico under cui si rivolge la bambola protagonista. Canzoni e balli, risatine e scemenze varie in un cocktail mescolato alla meglio. Pessimo.
Ieri sera sono andato a vedere "Barbie", e ci sono andato più per curiosità che non per vero interesse, nonostante conoscessi molto bene la regista e lo sceneggiatore (che nella loro carriera in ascesa, non ne hanno sbagliata una).
In una sala stracolma di gente, la cosa divertente è stato assistere a ragazzi e uomini che, trascinati lì dai loro partner, avevano nel loro sguardo un profondo senso di disagio. Prima dell'inizio del film, la sala era ghermita di frasi come: "Guarda che film mi ha portato a vedere!", "Gli amici miei mi prenderanno per il **** a vita!". E ancora: "Lo faccio solo perché ti amo!".
Non me ne stupisco. Siamo tutti vittime di un sistema patriarcalista.
L'intelligenza di Greta Gerwig è stata proprio qui. Anticipare queste reazioni, e nei primi 5 minuti di film smonta e gioca con queste prevedibili reazioni, rimettendo tutti al proprio posto.
Il film è stato una bomba, e ora capisco perché molti preannunciano una sua possibile candidatura agli Oscar.
Barbie gioca con i più drammatici e noti pregiudizi. Analizza tossiche tematiche sociali che, nel nostro retaggio culturale maschilista e patriarcalista, si sono ormai normalizzate. Li mostra e li smonta a suon di cliché e monologhi degni di nota. Il film di Barbie, dietro il suo rosa, è un insegnamento e un tentativo di far guardare oltre la semplice banalità. Va detto che non tutte le tematiche vengono affrontate con lo stesso spessore, e forse una piccola critica è proprio qui: less is (often) more.
Un film estremamente intelligente, che merita assolutamente la visione. Vi assicuro che la vostra mascolinità non ne verrà intaccata. Anzi, forse due domande riuscirete pure a farvele.
Dopotutto: "I'm a man without power. Does that make me a woman?"