Un ex marine viene coinvolto suo malgrado nel tentativo di stabilirsi su di un pianeta particolarmente ricco di specie vegetali ed animali e di sfruttarne le grandi risorse: quando però la razza indigena si ribellerà a questo colonialismo cosmico, l’uomo passerà dalla loro parte per guidarne la rivolta.
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Osannato dai media, forte di una mastodontica campagna pubblicitaria, il nuovo film di Cameron è controverso quanto apparentemente ordinario, secondo i canoni hollywoodiani: un'analisi superficiale si soffermerebbe sulla solita storia riciclata infarcita di emozioni facili, ma il valore di Avatar, bisogna ammettere, non sta nella sua trama o nella sua capacità di emozionare o nella bravura degli attori, se non in piccola parte. Più che un film, Avatar è una festa per gli occhi, uno spettacolo che sorprende e lascia senza fiato e che rivoluziona il linguaggio cinematografico, grazie ad una tecnologia che va ben oltre il 3D. James Cameron ha lavorato per dieci anni alla sua realizzazione, creando la tecnologia per poterlo girare, ma soprattutto dando vita al pianeta Pandora. Pandora stesso è forse il protagonista principale del film. Cameron ha studiato per creare l'ecosistema, la fauna e la flora da zero, inventando un mondo colorato, affascinante e incredibilmente realistico. La motion capture è stata sviluppata al massimo, percorrendo strade inedite ed arrivando a quella che è stata definita una vera e propria rivoluzione copernicana del linguaggio cinematografico. Indossando una tuta piena di marcatori e una telecamera ad alta definizione sospesa davanti al collo, gli attori hanno recitato per tutto il tempo su un set spoglio, mentre i loro movimenti e le espressioni del viso venivano registrati e trasmessi ai loro alter ego virtuali. In questo modo il regista ha potuto modificare inquadrature e battute del copione a distanza di tempo e senza convocare nuovamente gli attori sul set. Dal punto di vista della trama Cameron decide di raccontare una storia sicuramente vista e rivista (oserei dire, per certi versi, in stile "Pocahontas" e "Balla coi lupi"), ma che vale la pena riconsiderare, dato che l'attualità dimostra ogni giorno che l'uomo non ha ancora imparato la lezione. Al centro di Avatar ci sono i temi dell'ecologia, del rispetto del pianeta e della natura, della fragilità umana, dello scontro tra culture diverse. I personaggi sono piuttosto stereotipati, la suddivisione tra umani cattivi e Na'vi buoni non lascia spazio alle sfumature e all'approfondimento psicologico. Bravi Sam Worthington e Zoe Saldana, ma assolutamente strepitosa Sigourney Weaver con la sua interpretazione di dottoressa pacifista, ironica e coraggiosa. Non poteva inoltre mancare il classico cattivone duro a morire, interpretato da un ottimo Stephen Lang. La colonna sonora delude. Chi si aspettava una musica in stile "Titanic" ("My heart will go on" di Celine Dion) ci sarà rimasto male. Stupisce come un compositore così esperto e capace (Horner) non sia riuscito a infondere la giusta emotività alle scene, che vengono accompagnate dal più trito e banale dei tappeti elettronici che alza e abbassa il suo volume secondo la "temperatura" della storia: flautato per le scene sentimentali, aggressivo durante le battaglie. Forse si sarebbe potuto fare di più, ma, se si considera il successo che il film ha avuto ai botteghini e i numerosi premi ricevuti, direi che, dopo i "Terminator", "Aliens", "Titanic", Cameron si è guadagnato un altro pezzo di immortalità nell'olimpo del cinema.