Storia di una famiglia criminale vista dall'interno, negli aspetti più emotivi e contraddittori, che si spingono fino agli archetipi della tragedia greca. In una dimensione sospesa tra l'arcaico e il moderno, si svolge il racconto di tre fratelli che, dal Sudamerica e dalla Milano della finanza, sono costretti a tornare nel paese natale sulle vette selvagge della Calabria per affrontare i nodi irrisolti del passato.
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Il film affronta di petto il tema della 'ndrangheta calabrese, facendoci immergere lo spettatore a partire dalle vicende della famiglia del luogo. La famiglia è l'unico elemento indissolubile; anche se al suo interno i suoi componenti sono mossi tutti da intenti e idee differenti. Il film è cupo, duro e realista. Abbandona forme di spettacolarizzazione e di manierismo e al contrario torna all'origine e alla verità più rude della malavita. Non si batte la via del ritmo, dell'azione, o della esaltazione degli "eroi negativi", tipica dei gangster movies, ma qui al contrario si indugia sulla descrizione della realtà povera, rurale, sull'assenza di cultura, sulla omertà, sulla religiosità inadeguata, sulla scelta del dialetto come lingua del film. E' un lavoro dal forte connotato verista; angosciante, veritiero, anche se nel complesso descrive una realtà tristemente già nota. Lo fa col coraggio di non inserire artifizi scenici finti, lo fa con un'ottima regia, ma allo stesso tempo lo fa con una storia che sa di già visto.
Il finale per me è una nota di imprevedibilità positiva, soprattutto in un film dove tutto sembra un po' essere già scritto.