Il professore di inglese e scrittore Thelonious "Monk" Ellison verga un romanzo satirico sotto pseudonimo con l'intento di smascherare le ipocrisie dell'industria editoriale.
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Un film con due anime: la prima, fortemente satirica e graffiante, che smaschera le ipocrisie del mondo editoriale (e poi cinematografico) americano, gestito sostanzialmente da bianchi borghesi affamati di storie "nere" degradanti e folkloristiche, probabilmente per compensare un malcelato senso di colpa generale. Decisamente ben riuscita. La seconda anima, invece, è quella di una dramedy familiare in cui si sviscerano i rapporti umani del protagonista, quasi a dimostrare che anche un uomo nero possa essere borghese con problemi borghesi, lontanissimi dalle elucubrazioni mentali bianche sui ghetti. Una seconda parte, però, con molto meno mordente. Personalmente avrei premiato la sceneggiatura adattata di Poor Things, ma mi diverte da morire come l'Academy, che da anni ha il feticcio di premiare film e performance in nome della diversity e non per merito, abbia scelto proprio questo film come vincitore. È come se il regista e sceneggiatore Jefferson abbia attuato una beffa meta-cinematografica. Chi glielo spiega ai membri dell'Academy che American Fiction parla proprio di loro?