verso il sole (1996)

Non il viaggio ha fascino ma la meta; velata qui da quella coltre spirituale da sciamo indiano; più ci si avvicina al finale e più la vicenda s’assuefa alla luce, al volo, e si fa incorporea.

Ma è inutile discutere sulla sostanza prodigiosa di tale arrivo: il film, che partiva bene, sta innanzitutto nel viaggio, che onestamente ho trovato poco interessante. E’ debole il confronto psicologico e umano tra i due protagonisti, come è scarso lo spessore con cui s’attraversa il tempo e lo spazio del Nord America. Il racconta si limita a ricalcare, insomma, molti dei cliché del road-movie, e di riproporre il banale accostamento tra due individui opposti - troppo schematizzati e in bilico tra un presente esitante e un passato ancora meno autentico. Come i laghi miracolosi e le montagne sacre a cui allude, le sequenze belle del film di Cimino (che tuttavia si trovano) sono più immaginate che viste: e a irrompere, come l’elicottero che sopravviene nelle fasi finali, sono soprattutto le molte imprecisioni.

Ha comunque il merito di trasformarsi a poco a poco - come un animale che muta la pelle, o come i vari stati meditativi di uno sciamano - senza far pesare troppo quello spettro ieratico che ci attenderebbe alla meta e che, logicamente, noi non troveremo.