Una vicenda che ruota intorno alle cosiddette "baby boxes": i luoghi dove i genitori coreani abbandonano i bambini che hanno messo al mondo ma che non possono o non vogliono tenere con sé, in modo che possano essere adottati e cresciuti da qualcun altro.
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Il film di Koreeda tocca le corde giuste, è girato magnificamente e fa pensare a cineasti molto diversi da lui e inaspettati tipo Micheal Mann ("Heat"), e sa emozionare in diversi frammenti (gli occhi oscurati) dove tutti ma proprio tutti sono vittime delle circostanze e nessuno è veramente mai negativo o "colpevole" di qualcosa. Il limite del film è un certo buonismo (chiamatelo magari speranza umana) dove si trova sempre una soluzione affettiva anche alle grandi avversità e alle "colpe" di ognuno. La recitazione è talmente profonda, acuta e coinvolgente che tutto passa in secondo piano, ma una vicenda simile - che nasce pesante come un macigno - non dovrebbe aprirsi o chiudersi in un'illimitato (e magari) bisogno di "curare/curarsi", nel nome dell'Amore appunto. Resta comunque una conferma e una solida prova di un Cineasta che sa rappresentare la Società nel suo aspetto più (o meno) realista