Ludovico Massa detto Lulu, metalmeccanico rozzo e crumiro, è il perfetto archetipo del lavoratore senza coscienza di classe. Abile sul lavoro, si ammazza di fatica solo per riempire la casa di inutili aggeggi consumistici. Il suo comportamento gli aliena le simpatie dei compagni...
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Petri, talento inestimabile del nostro cinema, dopo un capolavoro assoluto come "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" dirotta la sua attenzione sulla società italiana facendo entrare per la prima volta il cinema all'interno delle fabbriche italiane. Ed è un inferno, altro che paradiso. Lulu (uno strepitoso Volonté, come suo solito) impazzirà nel suo tran tran quotidiano all'interno della fabbrica, dove tutto è fabbrica, il lavoro distorce e mangia qualunque gesto quotidiano, i caroselli delle pubblicità accompagnano le serate mediocri in "famiglia" dove persino il sesso è inglobato dalla fabbrica, in cui pensieri/passioni/vita sono concretizzati dalla macchina. Non è un caso che il ritmo dell'opera di Petri sia ossessivo e che il tema di carosello venga ascoltato distintamente in tv e qualche minuto dopo fischiettato da un paziente del manicomio con insistenza; idem le fissazioni nevrotiche degli operai, dagli slogan comunisti alle frasi di Lulu. Persino la follia diviene quotidiana apatia nella fabbrica, dove il paradiso dietro un muro è l'ombra di un sogno, e forse dietro questo sogno, dietro questo muro altro non c'è che la morte come liberazione dall'incubo del lavoro disumano. Ovvio che ai comunisti all'epoca il film non fosse piaciuto visto come sono ritratti anche loro nell'ottica grottesca e feroce di Petri: strano che i primi a levarsi contro la censura poi siano stati sempre in prima linea ad invocare la distruzione (letteralmente, dare alle fiamme) della pellicola. Segno che Petri colpì nel segno risparmiando pochi, forse nessuno, anche in questo caso specifico.