Noto psichiatra parigino cerca di ottenere la materializzazione della psiche e trasforma sé stesso, a comando, in Opale, libero dai condizionamenti della morale borghese. Gravi conseguenze.
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"Il Testamento del Mostro" è forse il vero testamento cinematografico di Jean Renoir - autore assoluto - al suo terzultimo film. Mi sono sempre chiesto se il regista avesse mai fatto il suo Dott. Jekyll e Mr. Hyde, essendo, tutte le sue opere, focalizzate su un personaggio rappresentante il Male assoluto. La presentazione in prima persona fatta da Renoir stesso ne sottolinea l' ironico carattere metacinematografico di un regista che per mezzo del Cinema ha sempre accusato la borghesia, qui attaccandola nella sua apparente tranquillità ostentata nei quartieri periferici di Parigi, "con lunghe teorie di muri, e dietro quei muri misteriosi giardini" in cui sembra non esser negato l' accesso solo al più temibile dei criminali. Credo il regista abbia voluto liberare il film dai limiti tematici del racconto del Classico di Robertson (credo) per concentrarsi su un altro aspetto a suo modo allegorico, cioè quella critica al mondo borghese appunto e la sua eterna maschera delle apparenze che "nasconde una realtà menzognera dissimulatrice dei più bassi istinti.". Che Barrault fosse bravo con il linguaggio del corpo lo aveva dimostrato con Carné ne "Les Enfants du Paradis", ma nel Testamento del Mostro è addirittura fondamentale con i suoi tic, il vestito dal taglio sbagliato, fuori misura, e nel mettere in scena, ogni volta, un vero e proprio balletto di una violenza stilizzata alla "Arancia Meccanica". Perfetta la colonna sonora.